L’ideologia che condanna
all’immobilità

di Luigi Covatta
Martedì 17 Ottobre 2017, 22:18 - Ultimo agg. 22:20
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 C’è un richiamo della foresta che ancora condiziona il Pd: accontentarsi delle enunciazioni di principio senza preoccuparsi di calarle nella realtà. Paradossalmente, funzionava meno quando il maggiore partito della sinistra era confinato all’opposizione, ma non mancava di realismo nell’affrontare le crisi. Ora invece che il Pd si qualifica come «sinistra di governo» il richiamo della foresta funziona a pieno ritmo.

È capitato sul tema dell’immigrazione, quando si è fatto il viso dell’arme a Marco Minniti, mentre prima si copriva con la retorica dell’accoglienza una realtà che vedeva decine di migliaia di migranti lasciati a frollare nei Cie per mesi e per anni. Ed è capitato più di recente sui temi della giustizia, quando non si è osato resistere alle pretese della presidente della Commissione antimafia.

Ora capita con la legge Falanga. Per carità, si tratta di una pezza a colore: un tentativo di graduare alcuni interventi repressivi, senza nessuna ambizione ulteriore. Ma è una pezza che, nel caso della Campania, serve a coprire lo strappo operato nel 2003 dalla giunta Bassolino rispetto al condono edilizio varato dal governo nazionale: a ripristinare, cioè, una «par condicio» con le altre regioni italiane.

Del resto, da anni non si vedono in azione ruspe impegnate a far rispettare la legge, e quindi non sarà Falanga a bloccarle. Ma per i feticisti del politicamente corretto questo non importa. Importa rispettare il principio, lasciando ai cultori del latinorum la consolazione di rievocare il brocardo per cui «summum jus summa iniuria»: e lasciando, soprattutto, inalterato il disordine che da troppi anni caratterizza il nostro territorio. Il rigore, infatti, non ha salvato il Belpaese dagli abusi, né ne ha sanato la fragilità.

Lo aveva capito Matteo Renzi quando, dopo il terremoto dell’Italia centrale e con la consulenza di Renzo Piano, varò il progetto «Casa Italia»: un intervento strutturale per mettere in sicurezza il territorio coinvolgendo tutti i soggetti interessati, pubblici e privati. Ora il progetto si chiama «Italia sicura», e proprio qualche giorno fa Erasmo D’Angelis, che lo coordina dalla presidenza del Consiglio, ne ha illustrato le prospettive, tali da mobilitare molte energie finora neglette dalle politiche di tutela. I feticisti, invece, non riescono a lasciarsi alle spalle una vincolistica che finora si è dimostrata inefficace, e preferiscono delegare la tutela del territorio alla magistratura, alle forze dell’ordine ed alle gride con cui i sindaci sono costretti ad ordinare demolizioni che poi non verranno eseguite.

Una sinistra di governo prenderebbe la palla al balzo per resettare le vecchie politiche (anche con la legge Falanga) ed impegnare saperi ed interessi nel recupero non solo del territorio, ma di quel legame fra cittadini ed ambiente antropizzato che i vincoli non sono riusciti a garantire: e che, nella società aperta in cui fortunatamente viviamo, è l’unica condizione per tutelare il paesaggio, il patrimonio edilizio, l’eredità culturale ed il diritto delle persone allo sviluppo ed alla mobilità.
Al Nazareno, però, sono in tutt’altre faccende affaccendati. Non rinunciano, ovviamente, ad essere «sinistra di governo»: ma pensano che per esserlo basti una coalizione che faccia guadagnare un voto in più degli avversari. Perciò non abbandonano la foresta in cui si aggirano sigle, movimenti e leader veri o presunti. E pazienza se si tratta di una foresta pietrificata.
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