La propaganda del Califfo che arriva in ogni casa

di Andrea Margelletti
Martedì 14 Giugno 2016, 23:23
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 A poche ore di distanza dalla insensata barbarie che ha insanguinato gli Stati Uniti, anche le strade della nostra Europa tornano ad essere percorse dall’oscura ombra del terrorismo.

Pur nelle loro enormi differenze, gli attacchi di Orlando City e Parigi sono legati da due fattori comuni: l’azione perpetrata da un cosiddetto lupo solitario e la strumentalità della rivendicazione da parte di Daesh. Se sotto il profilo psicologico e percettivo le società occidentali hanno lentamente cominciato a sviluppare i primi, fragili, anticorpi alla propaganda jihadista e ad un marketing del terrore fondato sulla rivendicazione di qualsiasi incidente possa potenzialmente turbare le nostre coscienze, ben diverso è il discorso riguardante il potenziale radicalizzante dell’Agitprop del Califfato.

Con il passare dei mesi, sembra che la corazzata mediatica dello Stato islamico abbia sviluppato l’abilità non solo di diffondere sgomento tra gli uomini liberi, ma contemporaneamente di offrire esempi da emulare a quei membri della comunità islamica più socialmente vulnerabili e psicologicamente fragili. In questo senso, appare molto più difficile sviluppare anticorpi. Infatti, il fenomeno dei lupi solitari è di per sé imprevedibile, difficilmente tracciabile, connesso a dinamiche comportamentali le cui origini attengono al disagio, alla delusione, all’emarginazione o, più semplicemente, ad una mancanza di equilibrio psichico. Inoltre, il meccanismo di radicalizzazione di un lupo solitario è fortemente aleatorio e sfugge a più tradizionali dinamiche strutturate.

Un individuo può radicalizzarsi nella solitudine del proprio fatiscente appartamento della banlieu parigina, come nella camera di un normalissimo appartamento in centro a Bruxelles. Può farlo vedendo un video di Youtube o su Facebook, martellato dalla propaganda di un blogger, sedotto dalle parole infuocate di uno dei tanti auto-proclamatisi imam di periferia privi della minima formazione religiosa. Un solitario può diventare lupo in una palestra, in un circolo autogestito o in una prigione.

Proprio i centri di detenzione, dove si auspica la rieducazione del detenuto, negli ultimi anni si sono trasformati in pericolosi megafoni per il proselitismo jihadista. Luoghi dove la rabbia, l’assenza di saldi riferimenti identitari, la paura di vivere un’esistenza da reietti vengono manipolati e trasformati in presunta militanza politica. Luoghi dove la paura e l’emarginazione possono essere trasformati in odio. Il virus dell’odio jihadista può avere molte forme, manifestarsi in maniera evidente, spingendo il radicalizzato ad aderire a cellule strutturate, oppure latente e dormiente, lasciando il potenziale terrorista a vivere da solo il proprio delirio, pronto ad esplodere in maniera violenta ed improvvisa.

Appare evidente la difficoltà nel prevenire questo tipo di fenomeni, spesso afferenti a problematiche esistenziali prima che politiche.
Per farlo, forse avremmo bisogno dei sensitivi di Minority Report e della categoria del Precrimine, in grado di sventare omicidi ed attentati prima che avvengano, quando sono ancora semplici pensieri nella mente del futuro criminale. Tuttavia, anche se avessimo quella tecnologia, cadremmo nella trappola della predestinazione e del pre-giudizio elevato a sistema di valutazione, la stessa trappola che oggi, pur in assenza di sofisticati strumenti di previsione, spesso non ci fa dimenticare la distinzione tra un assassino ed un credente, tra un mitomane ed un fedele, tra un musulmano ed un terrorista.
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