La vendetta in cella che non fa giustizia

La vendetta in cella che non fa giustizia
di Antonio Mattone
Lunedì 2 Maggio 2016, 23:44
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«Fammi vedere le carte». Sono le prime parole che si sente dire un nuovo giunto appena entra nella cella di un carcere italiano. È la richiesta per verificare che si è (o lo si è stato nel passato) autore di un «reato infame», che abitualmente viene fatta dal «vecchio di stanza», cioè da chi risiede da più tempo nella cella o ne è il più autorevole abitante. Insomma da chi comanda. Nelle carte c’è scritto se si è accusati di reati sessuali o se si è collaborato con la giustizia. E, così, tutto il padiglione resta in attesa del responso, fino a quando il controllore dopo aver esaminato i documenti con i capi di imputazione urla dalla finestra della sua cella un liberatorio «tutto a posto», che certifica che il nuovo arrivato può essere accolto senza problemi nella comunità dei carcerati. 

Di solito gli autori di questi crimini «spregevoli» vengono rinchiusi in reparti speciali, oppure sono in qualche modo separati fisicamente dagli altri detenuti, soggiornando in piani appositamente dedicati. Ma può succedere che per errore, per distrazione o per un motivo qualsiasi, finiscano nelle sezioni comuni. E allora è meglio verificare il curriculum vitae. Un carcerato mi ha raccontato che per essere finito nella sezione sbagliata ed evitare di essere picchiato ha dovuto strappare e poi ingoiare il foglio dove era impresso il numero 609, il famigerato articolo del reato odioso.

Per Raimondo Caputo, il presunto assassino della piccola Fortuna, non c’è stato bisogno di esaminare le carte. Era finito al terzo piano del padiglione Roma della Casa circondariale «Giuseppe Salvia Poggioreale», dove sono collocati i sex offenders, gli accusati di reati di violenza a sfondo sessuale, e il clamore suscitato dal suo arresto ha fatto subito il giro del penitenziario. Radio carcere comunica velocemente almeno quanto internet. E così è stato aggredito dai suoi stessi compagni di cella, autori anch’essi di reati a sfondo sessuale, durante quella che viene definita una adunanza di socializzazione. Una crudele legge del carcere impone di scagliarsi contro chi ha commesso un delitto più sporco del tuo. E allora succede che chi una volta è stato oggetto di un feroce pestaggio, divenga poi un giustiziere spietato. Spesso questi linciaggi avvengono sotto silenzio. Un braccio rotto, un taglio in testa, una faccia piena di lividi, hanno sempre la stessa giustificazione, una caduta. Anche se poi tutti sanno come sono andate veramente le cose. Le colpe imputate a chi frequenta le sezioni protette possono essere di diverso tipo. C’è chi ha picchiato la moglie perché l’ha trovata a letto con un altro, chi è accusato di violenze domestiche, chi ha violentato donne, chi ha seviziato bambini, fino all’orribile omicidio di cui è accusato Caputo. 

Questi detenuti sono segnati da un grande disprezzo, uno stigma che la gravità dei fatti commessi lascia come impronta indelebile. Ogni occasione è buona per essere umiliati dagli altri carcerati. Alcuni anni fa un lavorante che portava il vitto ai sex offenders urinò e sputò nella pentola con il cibo ancora fumante. Il suo collega, tra i destinatari del pranzo, se ne accorse e, con una manovra furtiva, riuscì a fare uno scambio di gavette.
Forse andrebbero previsti dei circuiti alternativi, delle prigioni riservate a chi ha commesso questi crimini, prevedendo una serie di attività trattamentali e rieducative specifiche. Così come andrebbero formati gli agenti di polizia penitenziaria, per relazionarsi con loro nel modo più opportuno. Nel Tavolo 15 degli gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale Esterna, promossi dal ministro della Giustizia Andrea Orlando per discutere di un nuova idea di carcere, è stata data molta importanza alla formazione del personale che vive a stretto contatto con chi è recluso. 

È davvero difficile certe volte stare davanti a chi ha commesso azioni così orribili, anche per chi frequenta da anni le galere. C’è un grande male che non ha spiegazioni né giustificazioni e provoca solo una grande nausea. Ci sono vittime innocenti come i bambini uccisi e violati che chiedono giustizia. È una storia che si ripete da anni, forse da millenni. Una strage degli innocenti che non ha nessuna logica. Tuttavia non si può cedere alla vendetta dando addosso al mostro. Forse è più facile, libera da un peso la nostra coscienza, soprattutto se a portare a termine il lavoro sporco sono altri. Le circostanze e i fatti che sembrano essere avvenuti al parco Verde di Caivano parlano di tutto un contesto mostruoso e malato. Non è eliminando l’orco che tutto ritorna a posto. Piuttosto non dobbiamo abbandonare quel quartiere e quei bambini. Ma bisogna capire, accompagnare e intervenire con un esercito di operatori sociali. Al carcere resta invece un grande e arduo compito. Quello di cercare di rieducare anche il più spregevole degli assassini. Abdicare a questa funzione significherebbe una sconfitta non solo per il sistema penitenziario ma per l’intera società.
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