Le verità parziali tra i bastardi e Gomorra

di Francesco Durante
Mercoledì 11 Gennaio 2017, 23:33
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 Coi tempi che corrono, era inevitabile che la versione televisiva dei «Bastardi di Pizzofalcone» di Maurizio de Giovanni venisse da molti brandita come un’arma impropria da contrapporre alla «Gomorra» ugualmente televisiva di Roberto Saviano. E che fosse citata a esempio di un modo finalmente corretto di rappresentare Napoli fuori da un cliché tutto - disperatamente e inguaribilmente - negativo. Fare però questo confronto, e cavarne questi risultati, è operazione molto arbitraria e, almeno a mio parere, insensata, per varii motivi che cercherò di spiegare.


Innanzitutto, spazio alla banalità: bisognerebbe sempre ricordare che, mentre i «Bastardi» sono ambientati a Napoli (Napoli-Napoli), il teatro di «Gomorra» non è la città, ma la sua anche lontana periferia. Sembra quasi inutile dirlo, eppure chiunque potrebbe verificare di persona che tra piazza del Plebiscito e qualsiasi altra piazza nella terra di mezzo situata tra Scampia e Giugliano corre qualche sostanziale differenza. Bisognerebbe poi ricordare sempre che tanto i «Bastardi» quanto «Gomorra», per quanto in una certa misura ancorate alla realtà, sono opere di fantasia, e come tali soggiacciono a uno stile, a un punto di vista, a scelte che sono, prima di tutto, degli autori-scrittori, ma anche degli sceneggiatori e dei registi, per non dire degli stessi attori, che con la loro recitazione sono sempre in grado di piegarne verso una direzione o l’altra la ricezione da parte del pubblico. Non è un tema da poco.

Se, per esempio, consideriamo i «Bastardi» nella loro prima versione, cioè per come ci appaiono nei romanzi di de Giovanni, non faremo fatica a rinvenirne una qualità senz’altro più oscura, affondata com’è nei rovelli delle psicologie dei personaggi, di quella che invece si impone attraverso la regia di Carlei. Regia che invece è tutta giocata, come ieri ha giustamente notato su queste pagine Valerio Caprara, su inquadrature di grande effetto scenografico, interni spesso sontuosi, riprese dall’alto, uso generalizzato del grandangolo ecc.; elementi tutti che cooperano per fornire un’immagine di Napoli di grande fascino, e senz’altro più solare che ctonia.

Escludendo totalmente, come credo di poter fare, una qualsiasi volontà di de Giovanni di proporre il suo lavoro come una polemica alternativa a «Gomorra» – anche perché lo scrittore ha più volte sostenuto, in tempi recenti, il buon diritto di Saviano di perseguire i propri paradigmi narrativi senza porsi pregiudizialmente dei problemi di ordine «morale», ritenuti del tutto estrinseci ai prodotti dell’immaginazione – dovremmo forse ipotizzare, dunque, un «tradimento» dell’originale ai fini della riduzione televisiva? Non credo proprio. De Giovanni è una persona certamente dotata di spirito critico, ma anche profondamente innamorata della sua città. Sono pertanto incline a pensare che gli abbia fatto piacere vedere restituita, da molte immagini della serie tratta dai suoi romanzi, la bellezza rapinosa della sua e nostra città.

Una bellezza che è anche più forte, molto più forte, del suo contrario. Perché poi – altra cosa che non bisognerebbe mai dimenticare – i «Bastardi» raccontano storie di violenza, di sangue, di disperazione e perfino di orrore; ma, per l’appunto, tutto questo sangue, tutta questa violenza, tutto questo orrore possono convivere con la bellezza ed esserne, anzi, l’ambiguo e inesplicabile contrappunto, l’opposizione quasi costitutiva e apparentemente non conciliabile. Da ultimo, dunque, mi viene da dire che chi si compiace per la scelta della serie diretta da Carlo Carlei di rappresentare una Napoli in cui, malgrado tutto, la bellezza rifulge più forte di ogni bruttura, cade in un errore assai ingenuo, perché non considera una elementare verità.

C’è qualcuno di noi che possa dire che la sola Napoli televisiva autentica sia quella dei «Bastardi» o, al contrario, quella di «Gomorra»? C’è qualcuno che possa onestamente sostenere che una delle due serie dice il vero, mentre l’altra dice il falso? La verità è che la complicata “verità” di Napoli, ammesso che esista, è soltanto suggerita dall’una come dall’altra serie, a partire da presupposti diversi. Quella “verità” è un cocktail, e tutto, come sanno i bravi barman, dipende dal modo in cui lo hai miscelato. Può venirti fuori amaro ai limiti dell’indigeribilità, oppure stucchevolmente dolciastro, insipido o troppo carico, oppure più o meno dominato da uno solo degli ingredienti che finisce per “coprire” tutti gli altri. Non ci affanniamo dunque a fare classifiche, né ad assegnare punti-fedeltà-a-Napoli.

Tanto i «Bastardi» quanto «Gomorra» sono, in quanto prodotti artistici, incompleti, e dunque non esauriscono il discorso su Napoli: né nella versione scritta né in quella televisiva.
Entrambi propongono bensì una loro “verità” che ciascuno di noi potrà misurare col metro della propria esperienza e sensibilità. Come sempre, siamo proprio noi, gli spettatori o i lettori, a dover riscrivere o rifilmare il tutto, perché mai come attraverso la divulgazione televisiva le ragioni della “produzione” finiscono per soggiacere a quelle del “consumo”, a dipendere insomma più dal pubblico che dagli autori. Maildurante@gmail.com
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