La manovra e il disavanzo che non cala

di Giuseppe Vegas
Lunedì 25 Dicembre 2023, 00:00
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C’è un rito laico che ogni anno si aggiunge al santo Natale: la celebrazione della finanziaria. Alla fine del mese di dicembre governo e parlamento si ritrovano nelle aule di Camera e Senato per confrontarsi, in giornate frenetiche e notti insonni, sulla legge annuale che deciderà le spese e le entrate dello Stato nell’esercizio successivo. Rito apotropaico di propiziazione che assume in sé tutte le speranze e i desideri che si dovranno realizzare a vantaggio o a danno di cittadini e contribuenti. Una sorta di catalogo di Leporello delle conquiste economiche realizzate, o solo sperate, per ingraziarsi gli elettori. Ma, in tempi più recenti, utilizzato anche per sfuggire alle ire dei controllori di Bruxelles e alle vendette dei manovratori dei mercati finanziari.

La finanziaria fu inventata nel 1978 per cercare di mettere ordine e razionalità nel metodo di decisione della spesa pubblica. La concentrazione cronologica avrebbe permesso di disporre di uno strumento unitario di coordinamento delle scelte di spesa e di quelle in campo fiscale. Eliminando una volta per tutte l'alluvione scoordinata di provvedimenti, anche potenzialmente tra loro contraddittori, cui si faceva ricorso tradizionalmente per fronteggiare le impellenti necessità di cassa. Evitando per tal via la pratica di far ricorso a governi balneari, cui veniva attribuito lo sgradevole compito di vergare un decreto-legge per aumentare le tasse approfittando del ferragosto e poi di dimettersi in buon ordine prima che i contribuenti potessero prendersela con la maggioranza di governo dell'epoca.

Ma l'innovazione recava anche con sé una speranza, o meglio un proposito. Quello di cercare di far fronte all'esplosione del debito pubblico, dopo la crisi petrolifera dei primi anni '70.

Non a caso, la legge che istituì la finanziaria si poneva anche l'obiettivo di riformare le regole della contabilità di Stato. Essa mirava ad applicare per la prima volta con serietà il principio costituzionale voluto da Einaudi, quello del divieto di spendere in mancanza di adeguate risorse. Sforzandosi così di rendere più difficile approvare leggi carenti della necessaria copertura finanziaria. Per tal via si sperava, o forse ci si illudeva, di poter ritornare verso un ordinato sentiero di crescita e, soprattutto, di sborsare una somma inferiore per far fronte al costo degli interessi sul debito pubblico.

Come è risaputo, le cose non sono andate esattamente come ci si attendeva. In verità, negli anni sono state realizzate importanti operazioni di correzione dell'andamento dei conti pubblici. In realtà, forse non per intima convinzione dei gestori della cosa pubblica. Più che altro in tutte le occasioni in cui si appalesava l'"uomo nero": fosse esso rappresentato dalla svalutazione della lira, dal timore di essere esclusi dalla partecipazione all'Euro nella sua fase iniziale o dalla crisi del debito sovrano. Malgrado però i numerosi interventi di correzione susseguitisi negli anni, disavanzo annuale e debito pubblico rappresentano un mostro non ancora domato.

Anche perché, come spesso accade, anche nel caso della finanziaria ha finito per far capolino una sorta di eterogenesi dei fini. E così, la legge annuale di programmazione dell'entrata e della spesa, che era nata per frenare la spesa pubblica, si è andata man mano trasformando nel treno al quale attaccare tutti i vagoni possibili, carichi di bisogni e desideri. In una sorta di occasione per prendersi una rivincita su tutte le amarezze di un anno durante il quale si era pur dovuto stringere la cinghia. Ma, dato che, come spesso accade, a volte si esagera, fu necessario introdurre periodiche modifiche alla legge di contabilità e ai regolamenti parlamentari, per evitare che la finanziaria si trasformasse in un vero e proprio omnibus, dove ciascuno poteva salire, a qualunque destinazione fosse diretto. Per limitare il possibile rischio di eccedere nella spesa, era prevista una serie di controlli, affidati ai capistazione. Ma non di rado ci si dimenticava di indossare il cappello rosso.

Lo strumento della finanziaria, dunque, che era stato pensato a fin di bene, si era trasformato in una sorta di levatrice di mostri finanziari. Nelle aule parlamentari risuonava sempre di più la parola coraggio tutte le volte che si chiedeva al ministro dell'economia di allargare i cordoni della borsa a vantaggio di questa o quella categoria, o di quell'opera meritoria. Ma, alla fine, il coraggio si riduceva solo a quello necessario per andare ancora a pescare nelle tasche del contribuente.

Le cose si erano tanto deteriorate che, per festeggiare il capodanno di quindici anni fa', a Napoli il petardo più potente venduto era stato denominato a' finanziaria. Ovvio che non si potesse più andare avanti così. Era giunto il momento di un'operazione di maquillage. Così, nel 2009, dalla finanziaria si passò alla legge di stabilità e poi, nel 2016, il tutto venne incorporato nella legge di bilancio. Il che potrebbe essere considerato anche come un innocente trastullo. Se non fosse che avere unificato bilancio e finanziaria ha reso tecnicamente assai più agevole trovare le coperture finanziarie per le nuove spese. Anziché far ricorso a soldi veri, basta utilizzare i miglioramenti registrati nel bilancio rispetto all'andamento spontaneo, naturalmente futuro e incerto, dei saldi di finanza pubblica, cioè del deficit, e il gioco è fatto. Ovviamente, nessuno si è mai posto il problema che scopo delle manovre di finanza pubblica non è quello di considerare il livello del disavanzo un dato immodificabile, quasi fosse un tabù, ma di ridurlo.

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