Lo strabismo di un turismo senza progetti

di Pietro Treccagnoli
Lunedì 16 Ottobre 2017, 23:11
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Il turismo non si improvvisa. È un’industria, con leggi, strategie e tempi propri. Napoli sarà pure una città ribelle, come va proclamando Palazzo San Giacomo, ma di fronte a un innegabile successo internazionale, di fronte ai Decumani, a via Toledo, al Lungomare invasi da viaggiatori incantati, non può stare a godersi il bel tempo o annunciare balzelli per fare cassa come la tassa sui pullman turistici (ormai indispensabile, sacrosanta, per alleggerirne il peso sulla disastrata mobilità cittadina), ma senza un piano, senza una struttura che regoli e organizzi i flussi, che determini postazioni, che non accresca il caos.

Far pagare i torpedoni giornalieri che nei fine settimana e nei ponti occupano militarmente via Marina (già schiacciata dai lavori interminabili) ha un senso. E ha ancora più senso dirottarli in siti dove creano meno fastidi, senza averli davanti al parabrezza come un sipario immobile. Spedirli al Garittone di Capodimonte, imponendo percorsi tortuosi, può addirittura rendere ancora più penosa la condizione del traffico napoletano. Senza contare che, per le numerose porte d’ingresso in città, lungo e oltre la Tangenziale, riscuotere la tassa sarebbe complesso assai. Attualmente, con l’invasione degli imbranati branchi di bus, ci si arrangia come si può.

E si arriva a subire, nei weekend più affollati, fino a 500 pullman parcheggiati per intere giornate a via Marina. Con quello che ne consegue. È un’ondata incontrollata e provoca reazioni contraddittorie, strabiche. Quasi a voler uccidere il bambino nella culla. Il mordi e fuggi dei cosiddetti «pugliesi», i giornalieri che in realtà arrivano dalle regioni attorno alla Campania, più o meno nel raggio di 150-200 chilometri, spendono poco. È massa da grado zero del turismo. Ma comunque consumano qualche caffè, una bottiglina d’acqua, una pizza fritta, addirittura si fanno conquistare da un economico pastore da presepe. Tra l’altro sono stati proprio loro a contribuire alla rinascita di San Gregorio Armeno.

Producono grandi numeri, generano movimento e, in mancanza di un turismo prospero, danaroso, contribuiscono a rilanciare l’immagine di Napoli. Sono fonti di lavoro per lo street food, per il mercato dei gadget e dei bar. È tutta un’economia spuntata dal basso, da un humus fertile, come una foresta cresciuta da sola e che ha occupato gli spazi trovati liberi, senza che le istituzioni ci abbiamo messo un minimo di loro. È quindi sempre disdicevole sputare nel piatto nel quale in tanti mangiano, magari seguendo l’antica arte napoletana di arrangiarsi. A un gradino appena più alto dei «pugliesi» c’è il magico mondo degli airbnb, degli alloggi diffusi, quasi senza nessun controllo, dilagati a dismisura, ormai prossimi alla saturazione. Sono strutture in gran parte invisibili all’Agenzia delle Entrate.

Il pubblico non ci guadagna nulla. Ma, in ogni caso rappresentano una fetta del mercato turistico che porta danaro ai privati e andrebbe regolato. Anche perché Napoli non può limitarsi ad avere un’accoglienza alberghiera ferma da decenni a poco più di 11mila posti letto, roba da piccola località balneare, clamorosamente e sproporzionatamente bassa. Insomma impera il «carpe diem», approfittando di una fase positiva che può improvvisamente e malauguratamente esaurirsi, perché non si può andare avanti proponendo sempre e solo la sfogliatella, la pizza e, per chi ha minimamente smanettato sul web, lo straordinario Cristo Velato della Cappella Sansevero che ringraziando il dio dell’arte offre sempre code interminabili all’ingresso. È sempre più necessario creare un mercato che punti a un turismo con capacità di spesa più alta, culturale, in qualche modo legata al lusso e al benessere.

Sono ormai troppo lontani gli anni mirabili delle grandi mostre sulla Civiltà del Seicento e del Settecento, alle quali è seguita la stagione dell’arte contemporanea, ma pure quella si sta progressivamente consegnando alla memoria e ai cataloghi. Il successo di musei come il Mann rende orgogliosi, attira turismo di qualità medio-alta o comunque interessato a lasciare Napoli non solo con lo stomaco pieno, ma con gli occhi inondati di meraviglia. Manca, però, uno sforzo per valorizzare l’enorme patrimonio di altri piccoli e prestigiosi musei, di antichi palazzi, di chiese suggestive. Tutto dovrebbe andare a sistema. Ma dov’è la strategia che tiene insieme alto e basso, corpo e anima, mercato e cultura? Che riesce a sedurre non solo per un giorno, una botta e via. Ho visto Napoli e non sono morto, ma chissà se ci ritorno.

La voglia di tornare va, invece, costruita con offerte, idee e programmazione. Non è necessario inventare nulla. Lo fanno dappertutto nel mondo occidentale. Basta copiare. Invece non si intravede un disegno generale, quando, piuttosto, al turismo durevole occorrono piani almeno triennali, in modo da consentire sia ai tour operator che ai singoli viaggiatori di avere tra le mani offerte sempre nuove e appetibili. Solo in questo modo si realizza un salto di qualità che rende costante questa prodigiosa stagione. Solo così si lavora senza affanno e non si improvvisa una tassa che chi ha già programmato e organizzato un Natale napoletano deve mettere nel conto. E talvolta i conti sono calcolati e misurati al centesimo.

Il mordi e fuggi dei cosiddetti «pugliesi», i giornalieri che in realtà arrivano dalle regioni attorno alla Campania, più o meno nel raggio di 150-200 chilometri, spendono poco. È massa da grado zero del turismo. Ma comunque consumano qualche caffè, una bottiglina d’acqua, una pizza fritta, addirittura si fanno conquistare da un economico pastore da presepe. Tra l’altro sono stati proprio loro a contribuire alla rinascita di San Gregorio Armeno. Producono grandi numeri, generano movimento e, in mancanza di un turismo prospero, danaroso, contribuiscono a rilanciare l’immagine di Napoli.

Sono fonti di lavoro per lo street food, per il mercato dei gadget e dei bar. È tutta un’economia spuntata dal basso, da un humus fertile, come una foresta cresciuta da sola e che ha occupato gli spazi trovati liberi, senza che le istituzioni ci abbiamo messo un minimo di loro. È quindi sempre disdicevole sputare nel piatto nel quale in tanti mangiano, magari seguendo l’antica arte napoletana di arrangiarsi. A un gradino appena più alto dei «pugliesi» c’è il magico mondo degli airbnb, degli alloggi diffusi, quasi senza nessun controllo, dilagati a dismisura, ormai prossimi alla saturazione. Sono strutture in gran parte invisibili all’Agenzia delle Entrate.

Il pubblico non ci guadagna nulla. Ma, in ogni caso rappresentano una fetta del mercato turistico che porta danaro ai privati e andrebbe regolato. Anche perché Napoli non può limitarsi ad avere un’accoglienza alberghiera ferma da decenni a poco più di 11mila posti letto, roba da piccola località balneare, clamorosamente e sproporzionatamente bassa. Insomma impera il «carpe diem», approfittando di una fase positiva che può improvvisamente e malauguratamente esaurirsi, perché non si può andare avanti proponendo sempre e solo la sfogliatella, la pizza e, per chi ha minimamente smanettato sul web, lo straordinario Cristo Velato della Cappella Sansevero che ringraziando il dio dell’arte offre sempre code interminabili all’ingresso. È sempre più necessario creare un mercato che punti a un turismo con capacità di spesa più alta, culturale, in qualche modo legata al lusso e al benessere.

Sono ormai troppo lontani gli anni mirabili delle grandi mostre sulla Civiltà del Seicento e del Settecento, alle quali è seguita la stagione dell’arte contemporanea, ma pure quella si sta progressivamente consegnando alla memoria e ai cataloghi. Il successo di musei come il Mann rende orgogliosi, attira turismo di qualità medio-alta o comunque interessato a lasciare Napoli non solo con lo stomaco pieno, ma con gli occhi inondati di meraviglia. Manca, però, uno sforzo per valorizzare l’enorme patrimonio di altri piccoli e prestigiosi musei, di antichi palazzi, di chiese suggestive. Tutto dovrebbe andare a sistema. Ma dov’è la strategia che tiene insieme alto e basso, corpo e anima, mercato e cultura? Che riesce a sedurre non solo per un giorno, una botta e via. Ho visto Napoli e non sono morto, ma chissà se ci ritorno.

La voglia di tornare va, invece, costruita con offerte, idee e programmazione.
Non è necessario inventare nulla. Lo fanno dappertutto nel mondo occidentale. Basta copiare. Invece non si intravede un disegno generale, quando, piuttosto, al turismo durevole occorrono piani almeno triennali, in modo da consentire sia ai tour operator che ai singoli viaggiatori di avere tra le mani offerte sempre nuove e appetibili. Solo in questo modo si realizza un salto di qualità che rende costante questa prodigiosa stagione. Solo così si lavora senza affanno e non si improvvisa una tassa che chi ha già programmato e organizzato un Natale napoletano deve mettere nel conto. E talvolta i conti sono calcolati e misurati al centesimo.

 
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