«Come il mio Massimo, simbolo della nuova Napoli, tradito da un cuore crudele»

«Come il mio Massimo, simbolo della nuova Napoli, tradito da un cuore crudele»
di Rosaria Troisi
Lunedì 5 Gennaio 2015, 23:40 - Ultimo agg. 23:42
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«Tu 'o ssaje comme fa ‘o core», una delle canzoni bellissime che scrissero insieme. Quella parola - cuore - ha segnato le loro esistenze, è stata il tormento di Massimo Troisi, il tormento di Pino Daniele, amici e artisti travolti da un comune destino.



La scomparsa di Pino, così improvvisa e prematura come fu quella di Massimo, mi lascia tanta tristezza e un vuoto difficile da colmare; e non solo per la perdita di un artista vero, che ha segnato le nostre giovinezze, la nostra crescita, con le sue canzoni, ma perché è avvenuta con le medesime, terribili modalità con cui il mio Massimo, il nostro Massimo se ne andò vent’anni fa.



Entrambi erano ancora così giovani! Entrambi avrebbero potuto per molti anni godere della famiglia, del lavoro, della loro arte, in una parola, della vita; e offrire a noi tanti altri doni. Quei loro cuori sono stati severi, crudeli, devastanti. Eppure, nello stesso tempo, sono stati fulgidi, splendenti, ricchi.



Ricchissimi. In questo senso, non erano cuori ammalati, ma sani e pulsanti, perché molto ci hanno lasciato. Quei cuori non se ne sono andati, ma tra noi sono rimasti, se è vero che dopo vent’anni Massimo riesce a suscitare così tanto affetto e tante emozioni in tanta gente e tra vent’anni lo stesso accadrà per Pino.



Quei loro cuori sono una straordinaria eredità culturale, civile, vitale per noi che siamo rimasti a piangere due grandi figli di questa terra. Io non ho mai conosciuto Daniele, se non attraverso la sua musica. Quando tornava a casa, Massimo era parco di racconti e spiegazioni con noi della famiglia su quel che faceva.



Anche per questa ragione ho voluto scrivere il libro «Oltre il respiro»; per raccontare mio fratello da una prospettiva diversa, meno pubblica e più personale, intima, privata. Comunque, io sapevo del lungo sodalizio umano e artistico che lo legava a Pino. Si può dire che i due sono cresciuti insieme, se è vero che la loro collaborazione ebbe inizio già ai tempi di «Ricomincio da tre».



Pensate quanta stima, quanta fiducia Massimo aveva in lui per affidargli l’espressione musicale capace di far da sfondo ai suoi pensieri, ai versi, alle immagini, alle parole da lui create. La musica di Pino era come una chiave di lettura del mondo di Massimo, della sua filosofia di vita; dunque, della sua intimità e identità umana e artistica.



Io non ho conosciuto Pino, ma so che con Massimo aveva tanti punti in comune: la riservatezza, la discrezione, il buon gusto, il rifiuto di quelle vite appariscenti ed esagerate che tanto distinguono i nostri tempi bui, quelle vite che vogliono apparire e non essere; li accomunava, ancora, il rifiuto della retorica, dei luoghi comuni e dell’oleografia che continua a pervadere oggi tanti giudizi su Napoli.



Entrambi hanno fatto del bene alla città; perché l’hanno cantata in modo diverso dal passato, con l’orrore dei cliché, restituendole dignità e pretendendo, per essa, rispetto. Per lei, per tutti noi, sono stati un prezioso biglietto da visita in Italia e nel mondo.



E di Pino, di Massimo, noi oggi abbiamo bisogno sempre di più; della loro lezione umana e professionale, utile non solo nella musica e nel teatro, ma in tutti i campi della cultura e del vivere civile. Senza di loro c’è vuoto, c’è rimpianto, ma c’è anche la speranza.



Che cos’è la speranza se non uno sguardo sul futuro e un pensiero: speriamo che Massimo e Pino siano modelli per le nuove generazioni, tanto da cancellare con la loro grandezza, con la loro capacità di sedurre altri cuori, altre anime, le brutture che ci circondano.
Napoli oggi è più povera. Io spero che domani, grazie a loro, diventi più ricca.
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