Carta straccia la mappa dei rischi nell’isola ville anche sui getti termali

Carta straccia la mappa dei rischi nell’isola ville anche sui getti termali
di Francesco Vastarella
Martedì 22 Agosto 2017, 23:55
7 Minuti di Lettura
I rischi sono noti da sempre. Eppure a Ischia si combatte una sconsiderata sfida contro fuoco e acqua, fango e frane, terremoti ed eruzioni. Centocinquantamila anni di sussulti in mezzo al mare, nel 1302 l’ultima eruzione che si ricordi, nel 1883 il terremoto più devastante. Nulla di tutto questo ha però fermato la mano dell’uomo e la colpevole indifferenza dei responsabili della gestione pubblica: 29mila le case dell’isola, 27.200 gli abusi censiti (una violazione ogni due abitanti), 130mila nuovi vani in 30 anni. Si è costruito ovunque tra valloni e costoni, nel letto di vecchie colate laviche e torrenti scomparsi, sopra caverne termali, su soffioni caldi e coni di vulcani apparentemente inattivi. Un territorio ballerino sulle cavità che amplificano gli effetti di terremoti anche quando sono di modeste magnitudo. Costruzioni centenarie con pietre friabili e nuovi edifici in cemento armato accomunati da due elementi: le vecchie case con pericolosi innesti abusivi, le nuove abitazioni fuorilegge senza rispetto di vincoli paesaggistici e norme di sicurezza, prive di ogni licenza edilizia perché non rilasciabile. Ma si sa, la natura è madre e matrigna: avverte, poi colpisce duramente, provoca dolori e lutti.


Fu così nel lontano 1881: una spallata dall’Epomeo precedette di due anni il terremoto del 1883 con 2.313 morti tra cui genitori e sorella del filosofo Benedetto Croce. È stato così ai nostri tempi: la sera del 31 agosto del 2016, meno di un anno fa, l’avvertimento con due scosse in rapida successione, infine due sere fa la scossa di media magnitudo ma con effetti devastanti e conseguenze tragiche: due morti e salvi per miracolo tre bambini. Fu ancora così per l’inondazione che provocò sette morti a Monte Vezzi a maggio del 2006. Fu così per l’allagamento in cui perse la vita una ragazza a Casamicciola nel 2009: fango trascinato fino al mare attraverso canaloni senza più cure, dalla collina devastata dagli incendi estivi. E nelle storie compare anche la pagina triste della rivolta contro le ruspe, i giorni di fuoco a Ischia quando nel 2010 gruppi di abitanti andarono all’assalto dei blindati di polizia e carabinieri per fermare i mezzi delle demolizioni. Finirono in macerie solo poche casette, altri provvedimenti sono stati fermati quasi a incoraggiare i nuovi e più spericolati abusivi. Un anno fa, fu immediata la presa di coscienza rispetto al rischio di ulteriori scosse e sussulti del sottosuolo, e non soltanto perché il panico tra la gente divenne presto un incubo. Il sindaco di Casamicciola, l’ingegnere Giovanbattista Castagna, costituì una unità di crisi per monitorare la situazione, anche in prospettiva di nuove, prevedibili scosse nei mesi a venire. Ma la sua iniziativa, a Casamicciola, come negli altri cinque comuni isolani si è infranta contro la mancanza di fondi, di norme, di dati certi sul patrimonio edilizio storico e su quello degli ultimi decenni, in grandissima parte fuorilegge o addirittura del tutto sconosciuto all’agenzia del territorio, come oggi si chiama il Catasto. Insomma, più che una resa della pubblica amministrazione, oggi come ieri è una colpevole sfida a madre natura che lunedì ancora una volta è stata matrigna. La conoscenza del territorio c’è, è la coscienza che da troppo tempo è appannata, oscurata, accecata da mille e più interessi dei singoli. La ragione da decenni suggerisce ben altre iniziative a tutela delle vite umane e dell’integrità dell’isola. Il sistema della Protezione civile e la macchina della solidarietà hanno funzionato alla perfezione, ripetono in queste ore a Ischia. Una magra, magrissima consolazione. Può bastare per i giorni e gli anni a venire? Affatto. A che serve mettere in moto una imponente macchina dei soccorsi successiva ai disastri se poi si lasciano inalterate le condizioni che possono provocare morti? La mappa dei rischi sismici, vulcanici e idrogeologici (più pericolosi ancora degli altri per le caratteristiche fragili dell’isola) è stata preparata con maggiori dettagli negli ultimi anni. È del 2003 una ordinanza della presidenza del Consiglio dei ministri e c’è la cartografia più recente della Regione oltre che dell’Istituto di geofisica e vulcanologia.


Ogni tanto i Comuni sbandierano piani di evacuazione e di fuga. Tutti sanno, ma che fare? Quante sono le migliaia di vecchie case che avrebbero bisogno di un veloce adeguamento antisismico? Quanti edifici andrebbero demoliti per motivi di sicurezza prima ancora che per effetto delle violazioni dei vincoli paesaggistici? Il terremoto di lunedì sera, così come le inondazioni del 2006 e del 2010, hanno dimostrato che niente e nessuno è al sicuro. Crollano dopo una scossa i vecchi immobili costruiti con pietre di tufo e poco cemento. Cedono le case realizzate in una notte con cemento armato sopra o sotto i costoni. La maggior parte delle abitazioni dei sei comuni di Ischia sono state realizzate tra la fine del 1800 (dopo il terremoto di Casamicciola) e gli inizi del 1900 quando non c’erano né piani regolatori né criteri antisismici da rispettare. Tufo, travi in legno, poco cemento e tegole erano gli ingredienti a disposizione di ingegneri e muratori di quei tempi. In anni più recenti si sono rese necessarie modifiche e ristrutturazioni: tanti hanno fatto da sé innestando cemento e travi di legno, murature in tufo e nuovi pesi con soppalchi.


E l’equilibro, hanno dimostrato i crolli, è diventato instabile tanto da non reggere l’impatto del terremoto negli abitati storici. E sono questi gli interventi difficili da individuare per chi ha l’obbligo di vigilare sulla sicurezza dell’isola. I sindaci non hanno strumenti per imporre ai proprietari i lavori di messa in sicurezza. Tantomeno i titolari vogliono farli in autonomia, anche perché il business degli affitti estivi frutta bene e i rischi se li piangono gli altri. E ci sono le migliaia di ville e seconde case dei vacanzieri, le abitazioni di necessità degli isolani alla disperata ricerca di un tetto. È il capitolo più oscuro della storia edilizia di Ischia cominciato all’inizio degli Anni 60 con l’invasione dei napoletani alla ricerca della casa dei sogni per le vacanze. Finita l’invasione dei vacanzieri cominciò l’abusivismo di necessità, tollerato in nome della convivenza e della reciproca convenienza politica degli amministratori. I condoni hanno fatto il resto nel 1985, nel 1994. Per non dire del condono del 2003 di cui la Regione con una legge del 2004 tentò di bloccare gli effetti sull’isola ritenendo incondonabili gli edifici realizzati in aree vincolate: la battaglia legale a 13 anni di distanza non è ancora finita con la riapertura dei termini. Il confronto delle cifre non lascia spazio agli equivoci sullo stato del territorio: 64mila abitanti (250mila in estate), 46 chilometri quadrati, 787 metri sul livello del mare con il Monte Epomeo, 27.200 irregolarità edilizie. Il record percentuale spetta a Forio (9.240 case su 8.767 immobili) e a Casamicciola (3.602 case e 8.779 abusi). Seguono Ischia (9.082 case e 7.352 abusi), Barano (3.811 case e 2.802 abusi), Lacco Ameno (1.943 case e 1.213 abusi), Serrara Fontana 1.695 case e 735 abusi). La paura delle denunce negli ultimi anni ha soltanto consentito agli abusivi di affinare le tecniche di costruzione: 24-48 ore per completare un edificio grezzo e schivare gli effetti delle segnalazioni dei vicini.


Persino alberghi e attività turistiche hanno affinato i sistemi per realizzare vani senza dare nell’occhio.
E così nella furia cementizia è stato dimenticato come è fatta Ischia. «È un’isola formata da numerosi vulcani - scrive l’Istituto di geofisica e vulcanologia - che si erge per circa 900 metri dal fondo del mare. La maggior parte dell’isola è costituita da depositi di eruzioni sia effusive che esplosive, che hanno costruito edifici vulcanici, alcuni dei quali ancora ben visibili nel settore sud-orientale dell’isola, altri del tutto smantellati o sepolti. Molto diffusi sono anche i depositi di frane che derivano dall’accumulo di materiale vulcanico preesistente. L’intensa attività idrotermale - acque calde, emissioni di gas - e la storia eruttiva di Ischia, indicano che è un’area vulcanica ancora attiva. Ci sono fumarole con temperature prossime ai 100°C sulle pendici di Monte Nuovo e Monte Cito e lungo il litorale di Maronti». La fase vulcanica attuale, spiegano i geologi, è cominciata 10 mila anni fa e si concentra nella depressione a est del Monte Epomeo. In questa zona rientrano Selva del Napolitano, Monte Trippodi, Costa Sparaina, Cantariello, Posta Lubrano, Monte Rotaro, Fondo d’Oglio e Montagnone, Punta La Scrofa, Cafieri, Sant’Alessandro, Ischia Porto, Vateliero, Cava Nocelle, Molara, Arso e Fondo Bosso. Le aree di fatto più pericolose rientrano nei comuni di Casamicciola, Forio e Lacco Ameno. Eppure sono zone che i pirati del cemento non hanno risparmiato a rischio loro e delle loro famiglie. Chi si è voltato dall’altra parte oggi deve solo tacere di fronte a una terra bella e imprevedibile, diventata trappola spesso, ormai troppo spesso mortale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA