«Ora le banche non hanno più alcun alibi»

di Nando Santonastaso
Venerdì 11 Marzo 2016, 01:23
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Riuscirà la Bce a garantire la ripresa dell’economia reale attraverso l’azzeramento dei tassi sul costo del denaro e l’ulteriore acquisto di titoli di Stato e bond di aziende private? Francesco Daveri, economista all’Università cattolica del Sacro Cuore, è realista: «Il governatore Draghi si è reso conto di quanto sia difficile garantire l’obiettivo del 2% di inflazione annuo con un prezzo del petrolio così inaffidabile: ma l’impegno rimane e anche le scelte di ieri confermano che farà di tutto per raggiungere quel traguardo».  

I tedeschi hanno già annunciato tutto il loro dissenso: quante probabilità ci sono che la mossa Bce produca gli effetti sperati?
«Un banchiere centrale si può, si deve impegnare sugli strumenti che possono portare alla ripresa dell’economia. Non può decidere del Pil o della crescita di questo o quel Paese dell’Unione. Senza le decisioni adottate ieri è assai probabile che il tasso di inflazione sarebbe destinato a decrescere ulteriormente. Alla fine i banchieri centrali sanno che a giudicare il loro operato saranno i risultati e anche noi addetti ai lavori oggi non possiamo sapere se le misure annunciate ieri funzioneranno fino in fondo».

Vuol dire che non esistono certezze sulla possibilità che la cosiddetta “bomba atomica” della Bce arrivi all’economia reale per la quale è stata pensata e progettata?
«Draghi ha lo stesso problema con cui devono fare i conti tutti i banchieri centrali dei singoli Stati Ue: non può controllare direttamente l’inflazione, può agire solo sugli strumenti che monitorano l’indice del costo della vita. La Bce non può far ripartire il Pil velocemente, può fare il possibile per aumentare il volume di credito che arriva al privato: ma anche qui c’è di mezzo un’incognita, il rapporto cioè tra le banche private e commerciali e i volumi di prestito da esse erogati, volume che varia da Paese a Paese. Ecco perché le banche più piccole dovrebbero aggregarsi per irrobustirsi le spalle come sollecita il governo con la riforma delle Bcc, ancorché contestata nel Paese dei mille campanili».

Gira e rigira, si torna al rapporto tra banche ed economia reale. Non è un caso che le “casse” tedesche abbiano subito alzato il muro. 
«Le banche tedesche come le società di assicurazione dipendono molto dal margine d’interesse che riescono a lucrare. Se va avanti la politica di riduzione dei tassi è evidente che i margini di guadagno si assottigliano. Se il cittadino tedesco medio che ha delle polizze ma non vede più gli incassi sugli interessi, punta subito l’indice contro Draghi. Ma la Germania ha un costo del credito a tassi negativi per le sue imprese che esportano: vuol dire che dopo le ultime decisioni Bce, saranno banche e assicurazioni a soffrire ma non certamente le multinazionali, a cominciare dai grandi marchio dell’automobile. Per loro e per tante altre aziende il bassissimo costo del credito è uno strumento formidabile di crescita».

Sia sincero, professore: in questo momento a imprese e famiglie serve maggiore liquidità o una politica di sviluppo credibile da parte dei loro Stati?
«Credo che la domanda-chiave. I tassi negativi riducono il costo del credito e fanno scendere ancora un po’ l’euro. È sempre meglio che non far nulla: se la Bce tornasse sui suoi passi riducendo la liquidità le cose si metterebbero molto male. L’acquisto di titoli serve anche a risolvere i nodi di bilancio delle banche e dunque a metterle in condizione di aiutare sempre più le imprese e le famiglie. I titoli acquistati da Eurotower vengono tirati fuori dai bilanci bancari per cui le esposizioni degli istituti di credito calano e aumentano, al contrario, il loro coefficiente patrimoniale e la loro solidità. Sono i presupposti necessari a essere sempre più dentro l’economia reale».

L’altissimo debito pubblico dell’Italia può diventare un ostacolo all’attuazione delle nuove misure Bce?
«No. Le politiche di Draghi ci consentono un po’ di respiro in più perché garantiscono tassi bassi per un tempo certamente non breve. Il debito però resta un problema: non a caso dobbiamo tenere alte le tasse per cercare di rispettare gli obblighi di rimborso. Se non altro siamo lontani dall’allarme default del 2011 e non mi pare poco».

Resta un grande assente, mi pare di capire, in questo scenario: l’Europa. Non è così?
«La politica in Europa non esiste: qual è il numero di telefono da comporre? Non si sa, il guaio è questo. L’unico numero di telefono da fare è quello di Draghi ma lui ha in mano solo la leva della moneta, non può ridurre le tasse. Ci dovrebbe pensare il ministro unico europeo delle Finanze ma nessuno dei Paesi più esposti vuole fare un passo indietro. L’Ue che è più grande degli Stati Uniti ma ha un Pil molto più basso, non ha che una strada: l’unione delle forze. Ma lei crede che sia facile rinunciare per questa mission a una quota di consenso in patria? Io ci credo pochissimo».

Cosa ci aspetta nel prossimo semestre?
«Ulteriori revisioni al ribasso delle stime di crescita: ma se la Germania trova le risorse per riprendere a correre, dopo il buon exploit della produzione industriale di gennaio, e gli Stati Uniti continueranno a cavarsela bene annullando il rischio di recessione, il sistema potrebbe ripartire».

Di quanto in Italia?
«Penso al massimo nel 2016 dell’1%.
L’ipotesi dell’1,6% del governo mi pare improbabile».
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