Papa Francesco va dall'analista, ma non è un film

Papa Francesco va dall'analista, ma non è un film
di Massimo Introvigne
Venerdì 1 Settembre 2017, 00:05
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Papa Francesco confessa di essersi rivolto, molti anni fa, a uno psicanalista, e la notizia suscita stupore. Il padre della psicanalisi, Sigmund Freud, considerava la religione il maggiore ostacolo alla felicità umana e detestava particolarmente la Chiesa cattolica. Freud, ebreo, di fronte all’ascesa di Hitler dichiarò persino che il nazismo era un problema minore rispetto al vero nemico del genere umano, il cattolicesimo. Per decenni, la Chiesa ha ripagato la psicanalisi con la stessa moneta. Le opere di Freud furono messe all’indice, e ancora nel 1952 a Roma il Vicariato dichiarò che rivolgersi a uno psicanalista per un cattolico era peccato mortale.


Sbaglierebbe però chi considerasse lo sdoganamento da parte di papa Francesco una novità assoluta. Giunge al contrario al termine di un lungo cammino, che inizia con un Pontefice normalmente considerato “antimoderno”, Pio XII.

Il 13 settembre del 1952 – poco dopo che il Vicariato di Roma aveva scomunicato la psicanalisi – Papa Pacelli mise i puntini sulle “i” distinguendo, in un discorso ai partecipanti al Congresso internazionale di istopatologia del sistema nervoso, fra il “pansessualismo” di certe scuole psicanalitiche e la psicologia del profondo nel suo insieme. Pio XII rilevava che «non è provato ed è perfino inesatto» che l’accostamento materialista che riduce ogni problema alla sessualità sia una caratteristica necessaria di ogni tipo di psicologia del profondo. Ne può esistere, spiegava il Papa, una versione non riduzionista né «pansessuale», e quanto alla «dinamica della sessualità» questa è un oggetto di studio del tutto legittimo. Già in quel mese di settembre del 1952 una celebrità della scienza che era anche un sacerdote come padre Agostino Gemelli interpretò il discorso di Pio XII nel senso che la Chiesa era pronta ad aprire il dialogo con la psicanalisi.
Ma il discorso non risolveva tutti i problemi, e a Roma le opinioni continuavano a divergere. Nel 1961 il Sant’Uffizio vietò ai sacerdoti di rivolgersi agli psicanalisti. Ma passati sei anni, nel 1967, Paolo VI rimosse il divieto, aprendo la strada a una collaborazione fra seminari e psicanalisti che oggi non è inconsueta, e all’invito a esponenti della psicanalisi, ormai comune, a insegnare in università pontificie e perfino collaborare a inchieste delicate, come quelle sui preti pedofili. Rivolgendosi a uno psicanalista l’attuale Pontefice non violava dunque nessun divieto della Chiesa.

Ma, a prescindere dal diritto canonico, che cosa significa lo sdoganamento sul piano culturale? Mi sembra che si debba tenere conto di due aspetti. Il primo è che la parola psicanalisi indica oggi un genere, non una specie. I freudiani ortodossi, che ripetono gli improperi del padre fondatore contro la religione e la Chiesa, esistono ancora ma sono una minoranza. Già Jung, le cui idee gnostiche lo rendono difficilmente accettabile per i cattolici, aveva comunque un interesse per il sacro e la religione diverso dall’atteggiamento soltanto critico di Freud. E ci sono numerose forme di psicanalisi diverse da quelle di Freud e di Jung. Basterebbe menzionare la “terza via” dello psicanalista ebreo ungherese Leopold Szondi, fondata sull’idea di destino familiare e ostile alle religioni organizzate ma non alla fede, oggi coltivata solo da scuole eclettiche come quella dell’ucraino Oleg Maltsev ma a suo tempo considerata con attenzione sia da Jung sia da Freud. Ci sono certo forme ideologiche di psicanalisi chiuse per principio a ogni ipotesi trascendente che la Chiesa non può che rifiutare. Ma con altre forme il dialogo è possibile.

La seconda considerazione è che oggi fa quasi sorridere la preoccupazione, a suo tempo espressa dal Sant’Uffizio, secondo cui la psicanalisi dedicava uno spazio eccessivo alla sessualità. Le «dinamiche della sessualità» di cui parlava Pio XII hanno avuto in papa Giovanni Paolo II uno dei loro più profondi studiosi, in una prospettiva certo critica nei confronti della psicanalisi ma nello stesso tempo non chiusa a un dialogo con alcune sue correnti. Soprattutto, oggi la preoccupazione della Chiesa non è tanto che si insista troppo sull’importanza delle caratteristiche sessuali dell’uomo e della donna, ma che le si neghi in radice come fa la teoria del gender, la cui tesi fondamentale secondo cui uomini o donne non si nasce ma si diventa e si sceglie non a caso è stata presentata dai sostenitori più conseguenti di queste teorie come una rivolta contro Freud e un rifiuto radicale della psicanalisi. Sembra un paradosso, ma contro gli eccessi del gender la Chiesa e certe forme di psicanalisi potrebbero ritrovarsi alleate.
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