Patuelli: «Banche salvate, siano noti i nomi dei debitori colpevoli»

di Nando Santonastaso
Sabato 7 Gennaio 2017, 23:32
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E se facessimo a meno delle norme sulla privacy per chiamare con il loro nome e cognome i principali debitori responsabili del fallimento di una banca salvata, almeno in parte, dal denaro pubblico? Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, ci ragiona a titolo personale («Non abbiamo avuto il tempo di discuterne ancora all’interno dell’Associazione») ma il tema oltre ad essere di stretta attualità interroga anche il valore etico dell’essere banchiere. Ed è dunque destinato a suscitare più di una riflessione.

Presidente Patuelli, perché rendere pubblici questi nomi?
«Perchè no, mi domanderei invece. Io chiedo a titolo personale che vengano resi noti i primi 100 debitori insolventi delle banche che sono state salvate. E per farlo, penso al varo di una norma di legge sia per le banche risolute sia per quelle preventivamente salvate dallo Stato. Bisognerebbe cioè fare un’eccezione alle attuali regole della privacy proprio alla luce del fatto che si tratta di banche nelle quali sul piano della risoluzione o del salvataggio preventivo è intervenuto lo Stato o le altre banche e i risparmiatori».

Della serie: sono soldi pubblici quelli che vengono messi in campo, perché non conoscere chi ha portato queste banche al fallimento o ad una situazione tale da richiedere l’intervento dello Stato?
«Proprio così. Una norma come quella proposta farebbe più chiarezza e contribuirebbe anche a evidenziare più facilmente i casi di violazione di una norma che si chiama mendacio bancario, attualmente vigente e che si verifica quando qualcuno prende in prestito dei quattrini raccontando cose false alla banca a cui li chiede in prestito. La legittimità di questa semplice norma, che può essere anche un emendamento, deriva eticamente dal fatto che se lo Stato decide di fare un intervento preventivo, vi può essere un’eccezione alla regola della privacy. Lo stesso avrebbe valore nel caso in cui, come avvenuto con il provvedimento del 22 novembre 2015, lo Stato ha deliberato di procedere con la risoluzione per le 4 banche in crisi. In quel caso ha costretto i risparmiatori da un lato e tutte le altre banche italiane dall’altro a sacrifici. Per me, è eticamente giusto che si vedano quali sono stati almeno i principali debitori insolventi».

Realisticamente, quante probabilità di essere accolta pensa che avrebbe la sua legittima proposta?
«Non faccio il book maker, sono solamente un ragionatore. Io credo però che a livello etico le ragioni delle normative sulla privacy non sussistono se c’è un intervento preventivo dello Stato o un intervento dello Stato per salvare una banca a carico delle altre banche concorrenti e dei risparmiatori. Se si chiede la solidarietà pubblica non ci può essere la solidarietà degli altri e il vecchio segreto bancario».

Lei non entra mai nei singoli casi di problematiche del mondo bancario ma sono in molti a chiedersi se i 20 miliardi previsti per salvare Mps non siano troppi.
«Io non ho i flussi informativi riservati che hanno le autorità di vigilanza europea e le istituzioni nazionali. Essendomi studiato però per bene il decreto e la relazione tecnica, richiamo l’attenzione su questi numeri: l’intervento è di massimo 6 miliardi di euro ma il costo non è di 20 miliardi a carico dello Stato. Si parla piuttosto di una previsione di costo triennale: lo Stato indica una spesa di 250 milioni per il primo anno, 300 milioni per il secondo e altrettanti per il terzo anno. Si tratta del costo degli interessi sul debito pubblico che lo Stato emetterà a fronte di interventi in conto capitale e dunque non a fondo perduto. Con questi investimenti preventivi, insomma, lo Stato deve emettere dei titoli del debito pubblico e il costo previsto ammonterà a meno di un miliardo, come visto. Sono costi limitati che una banca parzialmente nazionalizzata e rilanciata può recuperare in poco tempo».

Nell’intervista di ieri al Mattino, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ammette che il rischio di un reset per il Paese specie per le riforme in atto e da completare, è reale: la pensa anche lei così?
«Non entro come lei sa nel merito di valutazioni soprattutto politiche che non mi appartengono. Mi limito a osservare che il decreto salva-risparmiatori del 23 dicembre scorso pone l’interrogativo che lei solleva: ovvero, la possibilità che banche in difficoltà abbiano con il salvataggio preventivo la svolta della nazionalizzazione. Abbiamo vissuto la fase delle privatizzazioni, una ventina di anni fa, adesso l’interrogativo è se stiamo andando in un’altra direzione. La mia risposta, che non è da decisore politico ma un auspicio, è no. Ovvero, le possibili nazionalizzazioni di questi mesi sono dei salvataggi preventivi come ne sono stati fatti molti di più in altre parti d’Europa. Tantissimi, infiniti. In Italia non c’erano stati salvataggi preventivi con soldi dello Stato».

Ma qual è il rischio, presidente?
«Non si deve trattare di nazionalizzazioni quasi eterne. Dobbiamo evitare due eccessi: uno, la nazionalizzazione infinita e l’altro una nazionalizzazione che abbia troppa anticipata scadenza di vendita, quasi coatta. Una nazionalizzazione quasi eterna fu quella degli anni Trenta che riguardarono non solo le banche ma anche le industrie: durarono 60 anni, non mi sembra la strada giusta. Né ha dato buoni frutti l’esperienza delle 4 banche del territorio, quelle del decreto legge 22 novembre 2015: organi europei costringono a vendere a qualsiasi prezzo quegli istituti e il costo, quando il termine è ravvicinato, è stato fatalmente più basso».

E allora?
«Serve la terza via: dopo la nazionalizzazione, cogliere le condizioni di mercato che rendano possibile nei tempi che il mercato determinerà delle privatizzazioni che evidenzino non un costo per lo Stato ma un profitto. E’ possibile perché ad esempio in Gran Bretagna dove sono state fatte nazionalizzazioni e poi privatizzazioni con profitto, i risultati sono stati positivi. Ma anche in Italia ci sono stati interventi pubblici sul capitale delle banche con profitto dello Stato. I Tremonti e i Monti bond avevano un interesse annuo di circa il 10% e quindi lo Stato ci ha guadagnato». 

Presidente, soddisfatto del rinvio di Basilea 4?
«Mi rifiuto di chiamarla Basilea 4 perché accettare di definire il completamento di Basilea 3 come Basilea 4 significa accedere a un abusivo allargamento dei deliberati degli organismi internazionali. Bisogna completare Basilea 3, dicono questui ultimi, non che bisogna creare una nuova normativa: per me, dal punto di vista metodologico e sostanziale si deve parlare solo di completamento di Basilea 3».
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