Perché non è solo un errore folle
ma la fabbrica dei luoghi comuni

di Massimo Adinolfi
Lunedì 20 Marzo 2017, 22:48
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«Un errore folle», ha detto la presidente della Rai Monica Maggioni. Ma cosa, per la precisione, era folle nella trasmissione condotta da Paola Perego, dedicate ai buoni motivi per cui gli italiani preferirebbero le donne dell’Est? Sicuramente lo erano i motivi illustrati nella grafica che a un certo punto la presentatrice ha sciorinato ai suoi gentili ospiti. Le donne dell’Est, spiegava la tabella, «1) Sono tutte mamme, ma dopo aver partorito recuperano un fisico marmoreo; 2) Sono sempre sexy, niente tute né pigiamoni; 3) Perdonano il tradimento; 4) Sono disposte a far comandare il loro uomo; 5) Sono casalinghe perfette e fin da piccole imparano i lavori di casa; 6) Non frignano, non si appiccicano e non mettono il broncio». Ora, è certamente difficile accogliere in così poche righe così tanti luoghi comuni e stereotipi maschili.

Improvvisamente indietro di decenni, il maschio italiano che ha risposto al sondaggio della trasmissione targata Rai vuole una donna dal fisico statuario, sempre curata, sempre sottomessa, sempre disponibile, che non si lagna mai. Rivendica naturalmente il diritto atavico alla scappatella e pretende di avere in casa la mamma, la casalinga e naturalmente l’amante, a seconda di come butta. Ma non basta parlare di follia dinanzi a questa stupefacente capacità di esprimere in un colpo solo il maschilismo più rozzo e la più superficiale incultura, perché, a pensarci bene, se gli autori della trasmissione avessero trovato qualche motivo migliore per discettare intorno alla stupefacente preferenza italica per le donne dell’Est Europa – motivi diversi da quelli illustrati da Marta Flavi (hanno sempre unghie curatissime) o da Fabio Testi (accompagnano i loro uomini nei bordelli) – non avrebbero confezionato una trasmissione molto più decente.

L’incidente in cui è incorsa Paola Perego è talmente gigantesco, l’errore così sesquipedale, che la questione non è come mai non vi fosse nessuno, nella redazione del suo programma, in grado di vedere la montagna di triviali cliché che stava per andare in onda. La domanda è: che cosa va in onda quotidianamente da quelle parti, se si son fatti insensibili a tal punto, se non sono in grado di accorgersi di offrire una rappresentazione della donna (ma anche dell’uomo) così volgare? Bisognerebbe andarsi a guardare tutte le puntate precedenti, per chiedersi se davvero la trasmissione dedicate alle donne dell’Est fosse così fuori linea rispetto ai pomeriggi di Rai 1: così folle – come dice la presidente Maggioni. Perché non si può far finta di non sapere che è tutto un genere di chiacchiera televisiva che ha preso questa piega. E da tempo.


 Si chiama infotainment, e consiste nello sposare l’informazione con l’intrattenimento. Ma lo sposalizio può andare in due modi: si può usare l’informazione per divertire, o si può fare il contrario, e provare a usare linguaggi più leggeri, divulgativi, per fare informazione. Questa seconda strada non è quasi mai percorsa, mentre la prima lo è in continuazione, pescando a piene mani dalla cronaca rosa o nera, in cerca di vicende drammatiche o pruriginose, di facili sentimentalismi o di finti sensazionalismi. È così che funziona, bellezza: forse persino dopo la scandalosa trasmissione della Perego si troverà qualcuno disposto a metterla così, con disinvolto cinismo.

Come se non vi fossero responsabilità editoriali di sorta. Come se il servizio pubblico non avesse qualche dovere in più, nel costruire i propri palinsesti. Come se tutto fosse uguale a tutto, senza possibilità alcuna di esercitare un minimo di giudizio critico su quello che va in onda. Ma veramente non è la singola trasmissione, ciò di cui ci si dovrebbe occupare. Questa volta, peraltro, le scuse dei massimi dirigenti sono arrivate subito e la trasmissione è stata chiusa. Bene. Benissimo. Ma la domanda è: ora cosa andrà in onda, al posto di «Parliamone sabato»? Di cosa si parlerà la settimana prossima nel consueto pomeriggio della Rai? Ancora e sempre delle storie che appartengono alla nostra esistenza quotidiana: quando non si tratta di politica o di sport – gli altri piatti forti del menu televisivo, oltre allo show e, ultimamente, alla cucina – si tratta del «life», cioè della vita messa in forma di spettacolo televisivo.

Nozze, are e sepoltura, diceva Giambattista Vico, e li indicava come «costumi eterni e universali», costanti che segnano la struttura stessa dell’umano.
Ma il «life» è proprio questo: nozze, are e sepolture, presentate però in tv con tutta la sapienza antropologica di cui possono esser capaci tutti insieme Paola Perego, Marta Flavi e Fabio Testi (e il giornalista e la miss, a contorno). Tutte le cerimonie con cui l’uomo marcava la propria differenza rispetto al mondo naturale e costruiva il proprio mondo culturale stanno cambiando: cambiano i costumi sessuali, cambia sia l’inizio che la fine della vita, cambia il senso del sacro. Infotainment dovrebbe significare: capirci qualcosa. E invece vuol dire: darsi di gomito, farci sopra delle risate da trivio o infarcirle dei peggiori luoghi comuni. Un errore folle, è vero, ma purtroppo c’è del metodo in questa follia.

 
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