Perché va recuperato il rapporto con la città

di Francesco De Luca
Martedì 2 Giugno 2015, 22:52 - Ultimo agg. 23:29
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C’è un filo che lega i concetti di internazionalizzazione e di napoletanità a proposito del futuro del Napoli? Il primo è l’aspirazione di De Laurentiis, che dopo Benitez e la lunga serie di calciatori stranieri acquistati (un solo italiano in un biennio, Gabbiadini, ma voluto dal presidente) ha puntato dritto su un altro spagnolo, anzi basco, Emery.



Il secondo è un’esigenza avvertita dallo stesso presidente, che ora come due anni fa - quando prese Rafa - sottolinea la necessità di affidare la squadra a un allenatore che si immedesimi in un progetto tecnico e anche in una mentalità. Bisogna maneggiare con cura il primo concetto, quello della internazionalizzazione, perché si rischia di far indossare le maglie azzurre a professionisti che non avvertono il forte legame tra la squadra e la gente.



Non c’era retorica in quello striscione esposto al San Paolo nell’amarissima serata della partita contro la Lazio: «2016 maglia sudata». L’impressione avuta nei due anni di Benitez è che in campo - in poche partite, peraltro - ci sia stata una squadra in grado di attaccare, segnare e offrire qualche spettacolare giocata, ma non predisposta al sacrificio e alla passione, due elementi che hanno sempre contraddistinto la storia del Napoli.



Nel suo momento più alto, gli anni degli scudetti, il popolo impazziva per la classe e i gol di Maradona, Giordano e Careca, tuttavia il cuore batteva forte anche per Bruscolotti, Ferrara, De Napoli, Bagni, Crippa, Alemao; per quanto essi davano in campo. Benitez ha eliminato in dodici mesi, con l’avallo della società, tutti i protagonisti della squadra di Mazzarri, da De Sanctis a Behrami.



È opportuno oggi chiedersi se lo spagnolo Albiol, ex campione del mondo e d’Europa, abbia offerto in due anni prestazioni superiori al napoletano Paolo Cannavaro, capitano trattato come una scarpa vecchia. La squadra che ha infelicemente chiuso l’ultimo campionato non aveva anima, quel qualcosa che ti dà forza e aiuta a superare le difficoltà. E forse c’entra l’abbondanza di calciatori stranieri che rischia di creare clan in uno spogliatoio.



Ma è ora di voltare pagina, capiremo presto con quali uomini. De Laurentiis è rimasto affascinato dal gioco, dalle vittorie e dalla personalità di Emery. Che è un basco, non uno spagnolo, e dunque ha uno spiccato senso di appartenenza e potrebbe più facilmente avvicinarsi alla napoletanità, alla mentalità che deve essere anche quella del club.



Nell’estate 2004 il produttore romano salì improvvisamente alla ribalta del calcio rilevando il titolo della fallita Ssc Napoli. Riaccese la speranza di una tifoseria che aveva visto finire al macero 78 anni di storia. Ma poi il rapporto con la città - non soltanto quella istituzionale e imprenditoriale - è stato altalenante, spesso difficile.



Ci sono state due qualificazioni Champions (con Mazzarri) e tre vittorie di trofei nazionali (uno con Mazzarri e due con Benitez), però c’è stata anche diffidenza nei confronti della società e della squadra, ad esempio per le discutibili operazioni di mercato della scorsa estate e per il contraddittorio andamento nell’ultima stagione. Non è un caso che al termine di questa annata vi siano state complessivamente 612mila presenze al San Paolo: un dato simile (621mila) si era registrato soltanto nella stagione di serie B 2006-2007.



Questo dato, gli striscioni esposti contro il presidente al San Paolo e i fischi indirizzati ai giocatori dopo la sconfitta contro la Lazio sono segnale di disaffezione? Lo stabilirà il tempo, ovvero la capacità della nuova squadra - rinnovata non solo negli uomini, ma anche nello spirito - di trascinare la tifoseria. Tuttavia deve esserci maggiore apertura del Napoli alla città.



Il punto non è allenarsi a 50 chilometri, sul prato di Castelvolturno, o far abitare il tecnico sulla collina di Posillipo anziché in provincia di Caserta, ma è tornare ad essere il simbolo più amato anche attraverso una maggiore penetrazione nel tessuto sociale. Napoli vuole “sentire” suoi questo presidente, il futuro allenatore e i giocatori; non bastano le visite culturali al San Carlo e al centro storico che fece Benitez nei primi mesi.



Deve esserci un dialogo assiduo e costruttivo, non soltanto con quei gruppi delle curve che si recano periodicamente a Castelvolturno per “confronti” con i giocatori. L’intervento per il restyling del San Paolo, con un investimento del club per 30 milioni, è una mossa importante: l’amministrazione municipale non avrebbe potuto mai mettere mano alla ristrutturazione dello stadio.



E l’idea di creare un settore giovanile a Napoli, se messa in pratica dopo anni, sarebbe un ulteriore significativo passo perché rappresenterebbe la ricerca di una identificazione nel territorio. È questo il senso della napoletanità.
Di un sentimento vincente.