Prevenzione, diagnosi e terapia: tre fallimenti per un disastro

di Vittorio Del Tufo
Lunedì 17 Luglio 2017, 23:21
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A due settimane dall’esplosione dei primi fuochi, e mentre la Campania è ancora avvolta in un immenso rogo, il bilancio da trarre è quello, amarissimo, di un fallimento. Che il territorio sia profondamente malato, debole, esposto alla furia dell’uomo e della natura, non è una novità. Quel che sconcerta è che la cura per debellare la malattia sia clamorosamente fallita. Fallita nella prevenzione, fallita nella diagnosi precoce, fallita nella terapia.

La prevenzione è mancata ab origine. Bisogna prendere atto, più di quanto sia stato fatto finora, che la tutela preventiva e la manutenzione del territorio in Campania è stata affidata per troppo tempo alle deboli mani di un sistema di welfare improduttivo e parassitario, mentre è un fatto che in Campania i piani antincendio boschivi, che regolano e organizzano la prevenzione e la tutela dei parchi, siano rimasti lettera morta. Per decenni vigilanza e tutela sono state appaltate, in nome di precisi tornaconti politici ed elettorali, a lavoratori socialmente utili e altre categorie che hanno lasciato il territorio sguarnito, o lo hanno difeso con armi spuntate. Non era e non è il loro lavoro. E se oggi una delle piste investigative porta proprio al reticolo di interessi (e di ricatti) all’interno del sistema delle bonifiche, allora la dimostrazione del fallimento è ancora più lampante. D’altra parte, l’azione criminale dei piromani si muove nella cornice di una strategia eversiva: coloro che lucrano affari da anni sull’economia (assistita) dell’emergenza ritengono di poter creare le condizioni per continuare a farlo, perpetrando i disastri dell’ambiente. 
La cura è poi fallita, è bene prenderne atto, nella fase della diagnosi. Quando, a inizio mese, sono esplosi i primi focolai l’allarme è stato blando e tardivo. Quello che doveva essere capito per tempo non è stato capito o è stato sottovalutato. È mancata la diagnosi precoce di quanto, in assenza di un sistema di manutenzione dei boschi (e dei sottoboschi) efficace, stava accadendo e poteva accadere. 

Infine, la cura è clamorosamente fallita nella terapia d’urto, che doveva essere aggressiva al pari degli incendi e si è rivelata invece blanda e, anch’essa, tardiva. Al di là del coordinamento formale e burocratico tra gli inquirenti, è mancato un reale coordinamento operativo delle investigazioni. Che voleva dire sedersi subito attorno a un tavolo tra tutte le forze di magistratura e di polizia giudiziaria impegnate nelle indagini, scambiarsi informazioni e stabilire quali strategie adottare, tempestivamente, per fermare la mano dei piromani ed evitare che l’inferno di fuoco avanzasse. È singolare che ancora oggi carabinieri e forestale andranno in pellegrinaggio tra le tre procure, anziché essere convocati tutti insieme sotto una sola responsabilità.  È una modalità operativa che fa a pugni con l’efficienza, in ossequio all’astratto principio di indipendenza dei magistrati che scoraggia qualunque coordinamento reale. Ciò vuol dire che la risposta delle strutture pubbliche burocratiche è stata tardiva a tutti i livelli, rivelando un ulteriore fattore di debolezza in un territorio che già sconta gravissimi handicap sul piano dell’equilibrio idrogeologico.

Siamo in presenza, dunque, di una gravissima emergenza nazionale, resa ancora più pesante dall’inefficacia delle politiche di prevenzione. In più di un mese la mattanza ambientale ha mandato in fumo in Campania ben 2461 ettari di superfici boschive, pari al 84% del totale della superficie bruciata in tutto il 2016. Contro i criminali incendiari che divorano, con i boschi, il nostro futuro, combattiamo da giorni una guerra impari, asimmetrica, senza mezzi. E senza più Canadair, visto che quelli della flotta francese sono rientrati nel loro territorio, stando alla Protezione Civile, in seguito dell’innalzamento del livello di rischio incendi nel territorio transalpino. Resta il fatto che il sistema di Protezione civile, dissanguato dai continui tagli, è in bancarotta. Siamo lesti, però, a spargere le lacrime del giorno dopo. E oltre al dolore per il territorio distrutto, dal Vesuvio agli Astroni, da Torre del Greco a Posillipo, resta la rabbia per un pericolo più volte evocato e fronteggiato finora solo a colpi di declamazioni teoriche e configurazioni, anch’esse solo teoriche, di reati di illusoria applicazione, quali il disastro ambientale. Reati di fronte ai quali, nella pratica, troppi occhi sono rimasti chiusi e troppe mani legate.
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