Pd, un’agonia troppo lunga: è meglio sciogliere il partito

di Umberto Ranieri
Domenica 12 Giugno 2016, 23:41
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La discussione difficile e dolorosa sulla sconfitta elettorale del Pd a Napoli va liberata dalla tesi consolatoria che sarebbe bastata la candidatura di un politico più sperimentato e le cose sarebbero andate meglio. Se prevalesse, porterebbe fuori strada. In una situazione come quella napoletana, in cui si manifesta una sorta di rancore verso un centro sinistra che, a conclusione del suo lungo ciclo di potere, ha lasciato Napoli preda dei suoi tradizionali problemi, la candidatura di Antonio Bassolino, protagonista di quel lungo ciclo, non avrebbe evitato il vicolo cieco in cui il Pd si è ficcato né gli avrebbe fornito la credibilità necessaria a raccogliere una esigenza di cambiamento. Sostenere il contrario significa non rendersi conto di come stanno le cose a Napoli e quali siano i sentimenti prevalenti nell’animo dei napoletani. Mi auguro che Antonio cui mi lega, pur nel contrasto di posizioni, un sentimento di amicizia, lo capisca.
Il commissariamento del Pd a Napoli può avere un senso a condizione che la sua missione sia chiara: sciogliere l’attuale partito e avviare la costruzione di un nuovo Pd. Sciogliere il partito nel vero senso della parola, non per finta: non solo le dimissioni degli attuali gruppi dirigenti (cosa scontata, oso credere) ma l’annullamento del tesseramento dell’anno in corso e la costituzione di un comitato per la rifondazione del Pd guidato dal commissario. Promuovere poi un ripensamento politico e programmatico su cui fondare le basi del nuovo partito. Sono convinto ci siano forze a Napoli, nel mondo degli studi e del lavoro, dell’associazionismo civico e delle professioni, dell’arte e della cultura disponibili a dare una mano per una impresa radicalmente innovativa. Occorre inoltre, su un punto cruciale, una decisione radicale: rinnovamento delle attuali rappresentanze nelle assemblee elettive, dalle circoscrizioni al Parlamento nazionale. Il tesseramento sulla base di rigorosi criteri riprenderà all’atto della fondazione del nuovo partito democratico napoletano. L’appello alla ricostruzione del partito va rivolto agli elettori e a chi, libero da obblighi correntizi, si iscrisse al Pd per convinzioni politiche e ideali. Siano loro protagonisti di una rivolta. 
È realistica una tale impostazione? Lo è, a mio modo di vedere, se si intende il punto cui è giunta la situazione. Si è spezzato nel profondo il rapporto tra società napoletana e l’attuale Pd con il conseguente disseccarsi del circuito della partecipazione attiva, della iniziativa politica nei quartieri, della promozione di battaglie civili, della capacità di riflettere sui mutamenti intervenuti nella vicenda economica e sociale napoletana. Il Pd ha rinunciato ad ogni ambizione politica e culturale riducendosi ad una sommatoria di gruppi incapace di promuovere una alternativa seria al modo in cui De Magistris ha amministrato la città.

Non c’è memoria di una battaglia politica condotta in consiglio comunale né il Pd ha provato a cimentarsi con alcuni dei problemi in cui si dibatte Napoli avanzando proposte o soluzioni innovative. Nulla. Per quale ragione al mondo avrebbe dovuto suscitare interesse o attrarre il voto dei giovani napoletani un partito ridotto in queste condizioni? Guai a nascondersi tuttavia che le cause della sconfitta vengono da lontano. Il declino di Napoli viene avanti da tempo. E’memoria viva nell’animo e nella mente dei cittadini che il centro sinistra ha avuto per un lungo periodo il monopolio del potere politico e amministrativo in città. Con risultati deludenti. 
4)La consapevolezza di ciò avrebbe dovuto spingere ad una decisa soluzione di continuità nella vicenda elettorale, in questa direzione non si è voluto compiere alcun passo. Il gruppo dirigente nazionale del Pd, scrivevo sul Mattino nei mesi scorsi, non ha voluto né saputo affrontare di petto la questione e muoversi con intelligenza e determinazione. E’ intervenuto in ritardo e ha sacrificato la ricerca di una candidatura con spiccate caratteristiche civiche ad accordi tra gruppi e fazioni interni al partito senza rendersi conto della portata dei problemi che si ponevano a Napoli… si è mosso sulla base di calcoli astrusi e velleitari di cui gli elettori, come è sempre accaduto, non terranno in alcun conto. E’ andata così. 
Il risultato di De Magistris impone una riflessione di fondo su cosa sia diventata la città. Supera il 42% dei suffragi un personaggio che, con una condotta dissennata, ha riproposto un rivendicazionismo fondato sulla denuncia dei torti che Napoli subirebbe dal governo nazionale. Un governo che, per la prima volta dopo decenni di inerzia, affronta il nodo Bagnoli e impegna centinaia di milioni di euro per liberare l’area napoletana dalle tonnellate di balle di rifiuti accantonate. Si avvia al successo nel turno di ballottaggio un personaggio che ha teso ad alimentare un napoletanismo deteriore, con la smania del bozzetto napoletano, del colore locale, del macchiettismo negando la Napoli dello scambio con il mondo italiano ed europeo, capace di esprimere una civiltà letteraria ed artistica. Come è possibile? Il successo di un simile personaggio è da ricondurre al problema della Napoli moderna: la debolezza della sua modernizzazione rispetto ad altre realtà urbane italiane ed europee. Sono le società deboli e non strutturate che si affidano al deus ex machina e che si lasciano penetrare dal populismo. Su questo occorre che forze importanti della città riflettano e maturi la necessità di un nuovo impegno per Napoli. Sarà una battaglia di lunga durata ma un dovere civile impone di condurla.
Molti sostengono che a Napoli sia il caso, magari seguendo la tecnica che suggerì Montanelli, di sostenere, contro De Magistris, la destra. Il voto è una cosa seria. E le cose serie non si decidono chiudendo gli occhi su qualche punto e adattandosi a scegliere il male ritenuto minore ma che pur sempre è male. Il voto va dato con coscienza piena e con gioia, altrimenti, niente.

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