Sbarchi a Napoli, tra i disperati
il cadavere di una donna incinta

Sbarchi a Napoli, tra i disperati il cadavere di una donna incinta
di Donatella Trotta
Lunedì 24 Ottobre 2016, 00:40
5 Minuti di Lettura
A lei non hanno dato un numero. E nemmeno un nome. Perché all’alba di ieri la prima a sbarcare al molo 21 del porto di Napoli, dal pattugliatore di altura «Bruno Gregoretti» della Guardia Costiera, è stata – chiusa in un sacco mortuario nero – la salma di una giovane mamma di 24-25 anni. In attesa di una vita mai nata: stroncate, entrambe, nella traversata della speranza in una esistenza migliore. «L’abbiamo intravista in acqua e tirata su a bordo durante le operazioni di soccorso e salvataggio, ma non c’era più nulla da fare», dice il comandante Carmine Berlano, a capo dell’equipaggio di 35 uomini della nave che ha recuperato con successo da 5 gommoni fatiscenti, al largo delle acque internazionali a sud di Lampedusa, 650 uomini, donne e bambini in fuga da guerre, violenze e miseria. Molti, in condizioni più critiche - per scabbia, disidratazione, ustioni e glaucomi contratti durante il viaggio - sono stati lasciati per cure tempestive a Lampedusa: dove è stato anche tratto in arresto uno degli scafisti.

Gli altri – 466 migranti, tra i quali 97 minori non accompagnati, dai 12 ai 17 anni, con diritto di soggiorno immediato – sono invece arrivati a Napoli. Dalle provenienze più diverse: Mali, Bangladesh, Pakistan, Senegal, Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Nigeria, Eritrea, Somalia, qualcuno persino dalle isole Solomon. In prevalenza sono giovani e giovanissimi uomini (437), pochissimi gli anziani e una minoranza le donne, anche con qualche neonato: come le profughe numero 1 e 2 della lista di sbarco, che si snoda con ordine in fila, per una pre-identificazione resa necessaria dalle nuove misure di sicurezza (cartellino bianco numerato della Questura di Napoli e prima fotosegnalazione della polizia): una madre minuta e velata, fasciata da più strati di stracci, che tiene per mano la sua bimba di circa 3 anni febbricitante, accompagnate subito con un mediatore all’ospedale Santobono e dopo poco dimesse. Ed è una muta babele di etnie intimorite, fedi personali e lingue diverse quella che arriva dal mare e, alle 7.25, accompagna l’attracco della nave - attesa dalle sei del mattino dall’imponente macchina dei soccorsi con uno spiegamento interforze, istituzionali e di volontariato, di oltre 500 persone – dopo circa tre giorni di navigazione.

A comunicare, in un silenzio irreale per la città dell’inquinamento acustico, sono soprattutto gli sguardi dei migranti. Tutti a piedi nudi e infreddoliti nei loro cenci laceri e sporchi, intrisi dell’odore acre del sudore e della paura. Molti occhi sono velati dalla stanchezza, molti altri invece spalancati sul mondo nuovo che li accoglie, riuscendo persino ad accennare qualche sorriso e un fugace segno di croce, scendendo a terra dalla passerella di ferro. Momadou D., 12 anni e occhioni curiosi, diventa la mascotte del suo gruppo di minorenni taciturni ma vigili. Rivestito dai soccorritori di felpa turchese e infradito nere fornite dalla Protezione civile, mentre sgranocchia i suoi biscotti con il latte caldo ti scrive, con bella grafia, il suo nome sul taccuino e ti racconta, in un francese stentato, la guerra e la famiglia lasciate alle spalle e il suo sogno: «Tornare a scuola». Mindu Abdul W. invece ha 17 anni, è bengalese, in viaggio da oltre un mese con una trentina di compagni di avventura con cui fa ormai tutt’uno. Ma si stacca entusiasta dal gruppo per spiegarti, in discreto inglese, la sua voglia di «trovar lavoro, qualunque lavoro».

Di loro si occupa la Polizia municipale con il Nucleo tutela minori, coordinata dal capitano Sabina Pagnano, affiancata da Barbara Trupiano, dirigente comunale delle politiche per l’infanzia dell’assessorato al Welfare di Roberta Gaeta: con fermezza materna, li preparano ai percorsi di tutela che li attendono. A seguire ogni dettaglio della regia delle operazioni, che scorrono senza intoppi, c’è sin dall’alba il prefetto Gerarda Pantalone: «La macchina della solidarietà messa in piedi da Governo, Asl, Regione, Comune, Croce Rossa Italiana ha funzionato», spiega. Lo conferma il comandante del Porto Arturo Faraone: «Una sinergia ben pianificata». Aggiunge il prefetto Pantalone: «Ai migranti sono stati distribuiti cibo, con 800 pasti preparati dalla Caritas diocesana, coperte, tute, ciabatte, felpe provenienti da sequestri della Guardia di Finanza grazie all’autorizzazione del procuratore. Tra i circa 10 casi bisognosi di interventi sanitari particolari, 7 hanno ricevuto assistenza ospedaliera. E una volta terminate le operazioni di identificazione, circa 160 migranti resteranno in Campania, avviati in strutture di accoglienza nelle province di Napoli, Caserta e Salerno; gli altri, saranno smistati fuori regione».

Con il prefetto, anche il vicesindaco Raffaele Del Giudice, soddisfatto del funzionamento della macchina comunale: «Abbiamo messo in campo 150 uomini - afferma - dagli assistenti sociali fino all’Asìa e all’Anm. Una risposta dovuta a una tale ondata di sofferenze», conclude, gli occhi umidi dall’emozione. Sulla banchina, le transenne delineano il percorso (famiglie-singoli-minori) delle operazioni di smistamento dei profughi nei vari gazebo, utili a proteggere dalla pioggia che in tarda mattinata arriva: 3 tende-laboratorio per i controlli medici, dopo i primi screening a bordo da parte dell’equipe sanitaria, in sinergia tra diversi specialisti (internisti, infettivologi, oculisti, pediatri) dell’Asl Napoli 1 e degli ospedali Cotugno e Santobono, supportati dalla mediazione linguistica di Ibrahim Yacoubou; una tenda di soccorso pubblico del Ministero dell’Interno; 10 stand della Protezione civile della Regione e due gazebo con reti mimetiche dell’Esercito, per i primi colloqui con le forze dell’ordine coadiuvati da oltre 24 mediatori culturali, parte di una squadra multietnica di volontari della Cgil coordinata da Jamal Qaddorah, con l’”esordiente“ ventenne indiana e poliglotta Manjit.

Ad animare la lunga giornata dello sbarco (il 18esimo in Campania, dall’agosto 2014) arriva anche l’energia di un gruppo di studenti del liceo Mazzini impegnati in un corso di Protezione civile per il progetto di alternanza scuola-lavoro con il loro tutor, l’ingegnere Pasquale Caputo. La rete della solidarietà, così, si allarga. Le sensibilità si intrecciano. E la sofferenza dei migranti si stempera in un clima di accoglienza che «a Napoli e a Salerno - sottolinea un veterano come Qaddorah - ha venature umane ad alto tasso emozionale». Capaci di donare speranza anche ai più disperati in cerca di dignità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA