Scissioni e «ribelli», senza fine
la sindrome del partito usa e getta

Scissioni e «ribelli», senza fine la sindrome del partito usa e getta
di Gigi Di Fiore
Martedì 25 Ottobre 2016, 23:55
6 Minuti di Lettura
È la politica italiana dell’usa e getta, la moltiplicazione delle scissioni e dei punti di vista, delle formazioni strategiche. La politica della cosiddetta Seconda Repubblica, che ha partorito, negli ultimi 20 anni, qualcosa come una ventina di formazioni e movimenti. Alcuni sono durati lo spazio di un mattino, altri sono resi invisibili dall’assenza di iniziative ed elettori. Nomi e leader da cui, naturalmente, si esclude il Movimento 5 Stelle di Grillo e Casaleggio, che è discorso a parte. C’era una volta la Dc con le sue correnti, anime dai mille tentacoli dove tutto si teneva. C’era una volta anche il Pci, dove le anime in dissenso venivano messe in minoranza o andavano via. C’era una volta l’ideologia, la guerra fredda, il muro di Berlino. Poi, è arrivata tangentopoli, è arrivata la «svolta della Bolognina» che mandò in soffitta il vecchio Pci ribattezzato Pds. È arrivata la «discesa di campo» di Berlusconi con la sua Forza Italia-Fininvest.

Sembra già preistoria, eppure in questi 20 anni lo scenario politico è stato figlio di quelle premesse. Con i suoi partitini, movimenti, leader di passaggio. Chi ricorda, ad esempio, Rinnovamento Italiano, il partito che fondò l’ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri, Lamberto Dini nel 1996? Partito centrista si dichiarava e si schierò con altre meteore (il Patto Segni, fondato da Mariotto Segni, il Movimento Italiano Democratico di Sergio Berlinguer, i Socialisti Italiani di Enrico Boselli). Alla partenza, con il voto proporzionale, il partito ottenne il 4,3 per cento, ma nel 2002 era già scomparso per essere assorbito dalla Margherita, filiazione di centro e di ex Dc. Poco dopo, nascevano i Democratici di Romano Prodi, con il sociologo della politica Arturo Parisi e la comparsa di Francesco Rutelli.

Divenne il partito dell’Asinello, per la scelta del simbolo. Sei anni aveva resistito il partito di Dini, appena tre, dal 1999 al 2001, quello di Prodi e Parisi, schierati con il centro-sinistra. Un’esperienza quasi parallela all’Ulivo, sempre voluto da Prodi con un discorso di fondazione a Formia, che a sinistra raccolse alleanze elettorali, come quella di Segni e Mino Martinazzoli che crearono il Patto per l’Italia (data di nascita 1994, certificato di morte 1995). Stessa durata ebbe lo schieramento elettorale dei Progressisti, che era assai affollato e univa Occhetto, Fausto Bertinotti, Leoluca Orlando, gli ex sindacalisti Del Turco, Benvenuto e Carniti, Carlo Ripa di Meana e il futuro ministro Willer Bordon. Tanta folla, per contrastare Berlusconi, alleato di Ferdinando Casini, Clemente Mastella, Gianfranco Fini.

E la moltiplicazione dei simboli si è avuta proprio con l’affievolirsi del potere berlusconiano: dalla punta massima di voti, successo, prestigio dopo le elezioni del 2008 alla discesa, complici la condanna giudiziaria e le vicende di olgettine e affini. In tempi ancora di non totale discesa, Berlusconi fu abbandonato da Gianfranco Fini, presidente della Camera, che si ritenne «cacciato» dall’alleanza. Da quella diaspora nacque Futuro e Libertà per l’Italia. Fini ne era presidente, suo vice il napoletano Italo Bocchino già suo portavoce in An. Dura due anni, dal 2011 al 2013. L’insuccesso elettorale ne decretò la morte. Quattro anni prima, era stata partorita, invece, una formazione pronta a saltare sul carro berlusconiano, rifacendosi a gruppi di opinione che mettevano il Sud al centro dell’attenzione. Era il Movimento per le autonomie (Mpa) di Raffaele Lombardo, presidente della Provincia di Catania e futuro presidente della Regione. Lo fondò nel 2009, si annunciò come una risposta meridionale alla Lega Nord, si alleò con il Popolo della Libertà di Berlusconi e Fini.

Otto anni di vita, dal 2005 al 2013, con punta di successo elettorale nel 2008: 8 deputati e 2 senatori, eletti nei collegi meridionali. Poi, le disavventure giudiziarie di Lombardo, le espulsioni di esponenti di rilievo come Enzo Scotti, portarono alla fine anche dell’Mpa. Triste esperimento di sfruttare la montante rivendicazione d’identità del Sud, sotto l’ombrello di un simbolo politico. L’Mpa rimase un partito locale, che partorì un’altra sigla, il Partito dei siciliani, a sostegno della candidatura di Gianfranco Micciché, già di Forza Italia, alla presidenza della Regione Sicilia. Italia, Poli, Alleanze sono i nomi più ricorrenti delle formazioni politiche spuntate negli ultimi anni. Il fenomeno si accentua con la legislatura del successo berlusconiano nel 2008. Apocalittici e integrati del verbo di Silvio si alternano.

Nel 2010, in Parlamento viene costituito il Nuovo Polo per l’Italia. Unisce i critici di Berlusconi e del suo governo, che prima gli erano alleati: Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Raffaele Lombardo. A loro si unisce Gianfranco Rutelli. Nel 2011 la formazione si ribattezza Polo della Nazione, antesignana anticipazione di quel Partito della Nazione dell’era renziana. Tutto svanisce e muore nel 2012. Prima di far parte di questo polo, Rutelli (già leader della Margherita a prevalenza composizione democristiana, fondatore del Pd che unì, di fatto, Margherita e Pds), in polemica con il Pd, aveva tentato di creare un altro suo partito con l’ex Dc Bruno Tabacci e il filosofo Massimo Cacciari.

Era Alleanza per l’Italia, un nome che non manca quasi mai nelle formazioni politiche di questi anni. Anno di nascita 2009 con un’assemblea a Parma, la successiva adesione di alcuni Verdi. Punte di 4 deputati e 7 senatori alla sedicesima legislatura. Poi, di fatto, la fine nel 2013 quando, alle elezioni, il partito non si presenta. Ma è sempre l’universo berlusconiano che, concentrate negli ultimi tre anni anni, provoca le principali turbolenze. Dal Pdl vanno via deputati e senatori, salvo il ritorno di alcuni come Renato Schifani e Nunzia De Girolamo, fondando nel 2013 il Nuovo centro destra con principale leader l’attuale ministro Angelino Alfano, alleato del governo Renzi.

Va via anche Raffaele Fitto, che fonda nel 2015 i Conservatori e Riformisti, dove nei primi due mesi confluì anche il campano Ciro Falanga. Ma la scissione più pesante, che raccoglie transfughi di diversa provenienza, è quella di Denis Verdini, uno dei fondatori di Forza Italia, che crea Ala (Alleanza liberal popolare-autonomie) nel luglio 2015. Ha ora 18 senatori e 16 deputati, voti per il governo Renzi. Ma non è finita. Gli ultimissimi anni registrano la fondazione del partito di Mario Monti, ex premier tecnico voluto dal presidente Giorgio Napolitano al posto di Berlusconi a capo del governo: Scelta civica. Si squaglia presto, subendo anche scissioni come quella di Mario Mauro che nel 2014 fonda Popolari per l’Italia. Anche l’ex ministro Corrado Passera ha voluto provare il brivido di un suo partito: Italia Unica. Dura due anni, liquidato dalla figuraccia nella campagna elettorale per il sindaco di Roma.

Finita? No, le scissioni partoriscono leader, anche se non si sa quanti consensi.
Dalla Lega va via Flavio Tosi, ex sindaco di Verona, che nel 2015 fonda Fare! Dal Pd sbatte la porta Peppe Civati che, sempre nel 2015, dà vita a Possibile. Mentre Clemente Mastella, uno dei più turbolenti globe trotter degli ultimi anni seguiti alla sua lunga militanza nella Dc, da sindaco di Benevento sembra essersi calmato. Aveva fondato l’Udeur nel 1999, poi i Popolari per l’Udeur estinti nel 2013. Quanti ne ha divorati la fragile e volubile politica vedova delle ideologie. L’era del 2.0 non ha pietà. Chi ricorda più la Rete di Leoluca Orlando, finita dopo 8 anni nel 1999, o l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro? L’Idv c’è ancora, ma pochi se ne accorgono.
© RIPRODUZIONE RISERVATA