Se la camorra calpesta la democrazia

di ​Francesco Durante
Domenica 24 Aprile 2016, 00:25
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Da una parte c’è la democrazia, i partiti politici che si preparano alla competizione per prevalere nella guida della città. Dall’altra c’è un sottomondo sempre più sicuro di sé, e anche lì ci sono tanti, troppi «partiti» che non col voto, ma con la pistola, si contendono uno spazio molto più reale che simbolico: lo spazio della sopraffazione e del «rispetto» dovuto a chi è più violento e bestiale. Non sono due mondi incapaci di comunicare, è vero, e spesso il secondo può provare a condizionare il primo. Ma non sovrapponibili sono gli strumenti dell’uno e dell’altro, e non è assolutamente pensabile che lo stile della camorra possa diventare quello della terza città d’Italia, con la sua storia e la sua dignità, con la sua capacità, anche in questi tempi bui, di suscitare l’ammirazione di tanti visitatori venuti da ogni parte del mondo.

Pure, quello che è accaduto in questi giorni in rapida sequenza e a corredo di decine di altri episodi precedenti – prima le mitragliate contro la caserma dei carabinieri a Secondigliano, poi l’eccidio alla Sanità – rischia di farci pensare che le elezioni siano ormai un rito artificioso e inutile, e che, vadano come devono andare, non basteranno a fermare quanto ribolle nell’altra Napoli in cui l’unica legge è quella di chi la legge se la fa da sé. Che non cambieranno il destino di questa generazione di oggi adolescenti, pronta a perdersi nel gorgo in cui da decenni sembrano annegate le speranze della Napoli popolare, una città dove i figli, unico caso in Europa, sono più brutali e ignoranti dei padri a scorno dell’obbligo scolastico e della maggior disponibilità di strumenti di emancipazione. 

C’è di che sconfortarsi, ma non possiamo smettere di credere che da queste rovine sia possibile risorgere, non dobbiamo smarrire la fiducia nelle risorse di cui disponiamo, né fare a meno di continuare a ragionare e impegnarci.
In una certa Napoli, quella più esposta per ragioni sociali ed economiche al contagio criminale, non sembra aver più corso la naturale aspirazione delle famiglie a un futuro diverso per i giovani, fondato sulla ricerca di un modo onesto e civile di stare al mondo. L’ovvia considerazione che mancano opportunità di lavoro non basta, da sola, a spiegare esiti così autodistruttivi. Si percepisce il dilagare di una perversione paurosa, quella che le cronache hanno fatto rimbalzare pochi giorni fa con la trascrizione delle telefonate di un padre che si lamentava del figlio pigro e indolente che non si comportava come avrebbe dovuto un vero camorrista. Bisogna dunque andare alla radice di questa perversione, ed è lì, davanti a quella porta chiusa, che occorre presentarsi armati non dei soli strumenti della repressione (che andrebbero comunque resi più severi e inflessibili di quanto sono), i quali sono inefficaci se non li aiuta anche una diversa idea di comunità: se le scuole non praticano il tempo pieno, se mancano strutture per il tempo libero, se lo sport è solo tirar pedate a un pallone per strada, e se le famiglie, già fragili e disfunzionali, sono lasciate sole nel degrado che le circonda, in un paesaggio in cui l’illegalità e il sopruso sono vissuti come stabili e immodificabili. 

La corsa della criminalità, lo diceva bene ieri su questo giornale Giuseppe Montesano, è per il momento troppo più veloce di quella della civiltà. Se si trascrivessero tutti i dibattiti tenuti negli ultimi trent’anni sul futuro di Napoli, si otterrebbe una pila di carta più alta dell’Everest, e si potrebbe anche restare ammirati per la bontà, l’originalità, l’arditezza di tante idee, progetti, analisi. Il problema è che tutto questo discutere e immaginare è rimasto sterile, e intanto le riqualificazioni delle periferie hanno prodotto mostri, il caos sociale ha intaccato anche le zone centrali, la qualità della vita in molti quartieri è peggiorata, i luoghi nevralgici delle trasformazioni urbanistiche, da Bagnoli a Napoli Est, sono fermi all’anno zero. È così che la camorra vince.
Chiunque sia chiamato a governare questa città avrà un unico modo serio di difenderne l’onore: dovrà evitare derive populistiche e autoindulgenti, e dovrà essere perfettamente consapevole dell’estrema gravità dei problemi che la affliggono. Dovrà saper adottare soluzioni vere, e soprattutto fare di Napoli un tema sensibile per tutta la nazione, non più il luogo che si sobbarca la pena di tollerare tutte le negatività che gli altri, giustamente, rifiutano. Solo così la democrazia ritroverà un senso autentico e potrà affermare il suo primato.

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