Spari da Poppella alla Sanità,
l'estorsione alla speranza

di ​Isaia Sales
Giovedì 23 Febbraio 2017, 23:51
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Stesa o estorsione? È incredibile che dobbiamo interrogarci su quale delle due ipotesi sia la meno grave rispetto a ciò che è avvenuto ieri mattina davanti alla pasticceria Poppella al rione Sanità, uno dei negozi più emblematici ed emergenti delle eccellenze gastronomiche napoletane. 

Nel caso si trattasse di un tipico avvertimento estorsivo «preventivo» (danneggiare il negozio per trattare da un punto di forza il pagamento del racket con l’esercente impaurito) o di una reazione violenta a un pagamento già richiesto e non effettuato, staremmo di fronte al ritorno di vecchi clan che in questo modo avvertono tutti che sono sempre loro a comandare, e che dunque è finito il periodo di esenzione dalla tassa criminale dovuta al loro incarceramento o al loro tenersi appartati per sfuggire alla guerra degli avversari. In questo caso l’intimidazione al negoziante assume il significato di avvertimento «erga omnes», rivolto anche a coloro che nel frattempo li avevano soppiantati nell’attività estorsiva. E, dunque, il messaggio sarebbe il seguente: sono tornati i veri titolari del diritto al pizzo, è finita l’anarchia criminale e tutto torna come prima. Viene ripristinato il pagamento a tappeto da parte di tutti i negozi, senza sconti a nessuno, a partire dai più famosi, che anzi debbono pagare di più perché guadagnano di più. 

Il successo commerciale in territori dominati dai clan diventa un qualcosa da non esibire e quindi un limite insopportabile alle proprie capacità professionali e produttive. Si torna alle vecchie gerarchie e al diavolo tutti coloro che hanno scommesso e scommettono su di un’altra possibilità per il quartiere. L’esplosione di colpi diventa così un ricatto al futuro della Sanità, un’estorsione alla speranza, perché colpisce una delle imprese produttive, commerciali, turistiche e culturali che hanno segnato una svolta negli ultimi anni, riproponendo l’eccellenza del quartiere a tutta la città e a tutti gli amanti delle belle cose. La pasticceria Poppella, con la pizzeria Concettina ai Tre Santi, con l‘orchestra giovanile Sanitansemble voluta da don Antonio Loffredo, con le visite guidate al cimitero delle Fontanelle e alle catacombe, con il teatro di Mario Geraldi, con l’impegno della Fondazione con il Sud di Carlo Borgomeo, ha rappresentato per tanti giovanissimi l’alternativa concreta al modello criminale.

Se, invece, si è trattato di una ennesima stesa, le riflessioni sono ancora più gravi. Il quartiere Sanità, come quello di Forcella, è da alcuni anni uno dei baricentri delle nuove dinamiche criminali a Napoli. Eppure per dispiegamento di forze dell’ordine, per presenza permanente di esse, per visibilità dello Stato, sembra di trovarsi di fronte a problemi di un qualsiasi quartiere di una qualsiasi città italiana. I soldati presenti davanti alla Basilica di S. Maria non hanno avuto nessuno, dico nessuno, effetto dissuasivo. Come d’altronde in altre zone di Napoli. La maggior parte delle telecamere per la videosorveglianza sono spente. Insomma, in uno dei quartieri nevralgici degli scontri tra i clan di camorra, le misure di sicurezza non sono adeguate, anzi non rispondono a nessuna strategia di contrasto di strada o almeno di deterrenza del crimine. Perché quando si usa un metodo criminale come le stese, non esiste altro metodo preventivo (oltre alle meticolose indagini) che stare per strada. Certo è una strategia pericolosa per le forze di sicurezza, ma ce ne sono altre? Se sì, quali? Il problema che questa elementare strategia dissuasiva non la si attua non perché non è convincente ma soltanto perché non ci sono uomini e mezzi a sufficienza per farlo. 
Ma le politiche di sicurezza urbana possono fare a meno di un numero maggiore di persone addette? La videosorveglianza è una di quelle innovazioni tecnologiche che cercano di conciliare la carenza di personale e la riduzione dei rischi che corre stando per strada. Essa, però, diventa uno strumento di accertamento dei fatti criminali quando essi sono già accaduti, e non ha neanche lontanamente l’effetto dissuasivo della presenza fisica di poliziotti, carabinieri, e altri corpi di sicurezza. Naturalmente, quando le telecamere ci sono e quando funzionano. Che altro deve succedere per farle funzionare? Si potrebbe fare una rapida indagine da parte di un magistrato per capire perché non funzionano e di chi è la responsabilità? In ogni caso, in uno dei quartier più caldi di Napoli, non ci sono né adeguate forze di polizia né adeguati mezzi tecnologici di strada.

E subito qualcuno giustamente osserverà: ma è impossibile controllare tutta la città: le azioni criminali possono scoppiare dappertutto e nessuna organizzazione capillare di sicurezza può tutelare al 100% i cittadini. Ma ciò vale per i terroristi e un po’ meno per i criminali. Sono i terroristi che possono colpire in qualsiasi posto, con strumenti diversi e con modalità impreviste. Noi sappiamo, invece, in linea di massima dove potrebbero colpire i nostri terroristi camorristi (perché così dobbiamo definirli), possiamo delimitare le zone e i campi: i camorristi colpiscono (e sono colpiti) nei loro territori di insediamento, non vengono da fuori, non sono sconosciuti, usano quasi sempre lo stesso metodo (la stesa, appunto). Una impreparazione nei confronti del terrorismo camorrista (cioè nei confronti delle stese) è meno giustificato rispetto al vero e proprio terrorismo. E se così stanno le cose, almeno ci si risparmino le prediche ai cittadini che non collaborano.
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