Vermeer arriva a Capodimonte

Vermeer arriva a Capodimonte
di Alessandra Pacelli
Giovedì 1 Settembre 2016, 00:34
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«Questa mostra nasce dal desiderio di portare a Capodimonte un grande maestro che manca alle nostre collezioni. E poi volevo un capolavoro della pittura nordica da mettere a confronto con le opere dei nostri straordinari artisti». Spiega così Sylvain Bellenger, direttore del museo di Capodimonte, la mostra su Jan Vermeer che aprirà il 21 novembre nella pinacoteca napoletana. Tutto ruoterà attorno alla «Suonatrice di liuto» del maestro di Delft, quadro che fa parte della collezione del Metropolitan Museum di New York, «un dipinto che per la prima volta viene in Italia, opera di grande raffinatezza e meno conosciuta di altre più abusate come “La ragazza con l’orecchino di perla”».

Bellenger, ci racconti la genesi di questo evento.
«Il direttore del Met mi ha chiesto in prestito due disegni di Michelangelo per una loro mostra, i celebri e monumentali “Cartoni” che saranno esposti a New York affiancati ad opere provenienti dalla collezione della regina Elisabetta d’Inghilterra. Una rassegna che si prevede sarà visitata da migliaia di persone e che darà una grande visibilità al patrimonio artistico napoletano. Ed io in cambio ho chiesto un capolavoro che mancava a Capodimonte: Vermeer appunto».

E questo rinnova un filo diretto con il prestigioso museo americano?
«Certo, una collaborazione che in passato è già esistita, e che era già presente nella mia vita professionale visto che io stesso ho curato una mostra per il Met». 

Perché proprio Vermeer?
«Perché è un artista di primissimo piano nel Seicento nordico, perché le sue opere sono solo una quarantina esposte nelle più importanti pinacoteche del mondo, ma nessuna in Italia. E poi volevo mettere questo stupendo quadro in rapporto con le altre pitture a tema musicale, e penso alle nostre “Santa Cecilia” di Bernardo Cavallino, Carlo Sellitto e Francesco Guarini. Mi piaceva anche di paragonare le atmosfere intime di Vermeer con la pittura a tema religioso e poi farne capire le differenze: Vermeer sicuramente vide la pittura italiana caravaggesca, quella di Orazio Gentileschi per esempio, ed è interessante il confronto sull’uso della luce. La “Suonatrice di liuto” ci farà scoprire una sensibilità diversa, molto raffinata».

Come verrà strutturata la mostra?
«La “Suonatrice” sarà il fulcro attorno a cui tutto prenderà senso. L’idea è quella di creare un’ambientazione che meglio faccia risaltare la bellezza del dipinto, e per questo metteremo l’accento su due elementi chiave dello sviluppo narrativo dell’opera: il liuto, identificato con uno strumento a 11 corde del XVII secolo, molto vicino al liuto realizzato da Jean Des Moulins del 1644 e conservato al Musée Instrumental du Cnsm di Parigi; l’altro elemento è la vasta carta geografica dell’Europa che occupa lo sfondo del quadro, riconoscibile con quella di Willem Janszoon Blaeu inserita nel Theatrum Orbis Terrarum, atlante del 1659».

E a seguire?
«In un’altra sala del museo verranno esposti alcuni dipinti della galleria di Capodimonte, opere che presentano donne musiciste, che porranno l’accento sulle differenze tra soggetti analoghi ma inseriti in un contesto devozionale. Lo scopo è raccontare ai visitatori di come negli stessi anni dipinti con “musiciste” potevano avere diverse valenze e rispondere a antitetiche richieste del mercato artistico».

Il museo si farà però promotore anche di altre iniziative sul tema?
«Intorno a Vermeer svilupperemo un programma di cinema e musica - in particolare concerti per liuto, in modo da poter dare un’idea della musica dell’epoca - né mancheranno incontri con esperti e studiosi, per esempio per scoprire se la donna ritratta è veramente la moglie dell’artista (com’è consuetudine pensare). Insomma, faremo una sorta di studio archeologico che ci sveli tutti i segreti del dipinto».

Un po’ per capirne l’anima e il contesto?
«La pittura dice tante cose: racconta la sua epoca, la vita che si svolgeva. La “Suonatrice - opera della maturità dell’artista - riflette la cultura medio-borghese dell’Olanda del XVII secolo. E noi indagheremo gli aspetti inerenti al mondo dell’arte seicentesca, evidenziando non solo le modalità formali e iconografiche del dipinto, ma anche la cultura in cui l’opera d’arte viene creata».

E un’approfondita interpretazione del dipinto verrà offerta al pubblico anche tramite un’app per telefonini e I-pad, ricca di contenuti storico-critici, realizzata con il sostegno scientifico del Metropolitan. 
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