Il Vaticano teme un attacco ma il Papa frena: non agitiamo i fedeli

Il Vaticano teme un attacco ma il Papa frena: non agitiamo i fedeli
Martedì 13 Gennaio 2015, 03:32
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Franca Giansoldati
Città del Vaticano. Torna l'incubo terrorismo e per il Vaticano si tratta di far quadrare una equazione quasi inattuabile, da una parte garantire la massima sicurezza senza però alzare eccessive barriere. Nessuno vuole generare un clima di agitazione tra i pellegrini che il mercoledì affollano piazza san Pietro, né seminare panico tra coloro che, la domenica, accorrono sotto le finestre del Palazzo Apostolico per l'Angelus. Né tantomeno agitare la massa dei turisti in fila per entrare in basilica, ai musei vaticani, per ammirare la Cappella Sistina o per salire sul Cupolone da dove si gode di uno dei panorami romani più suggestivi.
Dopo l'attentato di Parigi, tuttavia, qualcosa effettivamente è cambiato anche al di là del Tevere. Anche in assenza di segnalazioni specifiche, di intercettazioni, di piani ipotetici ai piani alti del Palazzo Apostolico vi è consapevolezza che il Papa e il piccolo Stato pontificio siano realmente degli obiettivi di possibili azioni terroristiche. Ormai in pochi minimizzano, è difficile negare i rischi. Di conseguenza l'attenzione è salita anche se le maglie della sicurezza, almeno all'interno del territorio, non sono destinate a subire degli ritocchi, degli inasprimenti.
Il Papa ha chiesto di lasciare le cose come stanno, non vuole spaventare la gente. Le misure predisposte sembrano sufficienti. Domenica mattina davanti alla sala stampa, in via della Conciliazione, la polizia italiana - alla quale è affidato il controllo della zona antistante il Vaticano - aveva inviato un pulmino di supporto e alcuni poliziotti fermi davanti al portone d'ingresso. Un eccesso che, forse, non era piaciuto troppo, e così nel pomeriggio pulmino e poliziotti erano già stati fatti sparire. Frutto, probabilmente, di una telefonata diplomatica diretta al Viminale. Insomma, la preoccupazione del Papa è di non alimentare ulteriori ansie, più di quelle che già non ci siano in questo tempo gravido di incertezze.
Alcuni giorni fa si è tenuta una riunione ai piani alti del Palazzo Apostolico per capire come fermare definitivamente le incursioni sul Cupolone di San Pietro. Ogni tanto, infatti, c'è qualche malintenzionato che con fulminea abilità riesce ad arrampicarsi sul punto più alto per poi srotolare striscioni di protesta. Finora si è sempre trattato di azioni dimostrative di arrampicatori un po' strampalati ma innocui per la collettività. Come, per esempio, l'imprenditore triestino fermato dai gendarmi il 21 dicembre e spedito in carcere dove è rimasto fino a due giorni fa. Il Papa per primo continua a ripetere ai suoi collaboratori che la sua missione deve andare avanti senza scossoni, senza troppe variazioni. Per sua natura non intende sottoporsi a ulteriori forzature nelle misure di sicurezza; quelle che ci sono le reputa più che sufficienti. Non vuole privarsi del contatto con la gente, della libertà di muoversi senza filtri, senza lacci, senza cordoni che gli impedirebbero di svolgere spontaneamente la sua missione.
Come accade per ogni viaggio internazionale, anche stavolta che Papa Bergoglio è diretto nello Sri Lanka e nelle Filippine, i collaboratori che hanno organizzato la trasferta pontificia hanno rifinito nei dettagli il dispositivo della sicurezza, naturalmente in collaborazione con i Paesi ospitanti. A Colombo, nello Sri Lanka, il Papa oggi percorrerà una quarantina di chilometri su una specie di jeep scoperta. Francesco è sicuro che la sua migliore corazza sia la preghiera. Anche domenica ha chiesto ai fedeli: «Non dimenticate, pregate per me, ne ho bisogno».
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