Per la prima volta al mondo un primate ha vinto una causa contro la sua detenzione in gabbia, ottenendo la libertà immediata e una nuova casa in Brasile: è uno dei primi casi di “habeas corpus”, un principio giuridico fondamentale, concesso a un primate differente dall’essere umano. Il processo per aiutare Cecilia era stato messo in campo dalla ong argentina Afada, i cui legali sostenevano che l’animale è un soggetto di diritto e non un oggetto. Nel sistema giuridico anglosassone la locuzione latina “habeas corpus”, che significa “che abbia corpo”, fissa dal XVII secolo il diritto alla libertà individuale contro l’azione arbitraria dello Stato.
Ora l'incubo è finito. E Cecilia vivrà nel Santuario dei grandi primati a Sorocaba, nell’entroterra dello stato di San Paolo, insieme a decine di altri suoi simili. Una prima importante sentenza che può fare da apripista a tanti altri casi di maltrattamento e detenzione a vita di animali.
Negli Usa, un paio di anni fa, la Corte Suprema di New York si è pronunciata in favore di Hercules e Leo, due scimpanzè della Stony Brook University di Lond Island utilizzati per la sperimentazione, equiparando i loro diritti a quelli dei detenuti umani.
Altre cause, sempre in America, sono state intentate da Peta contro la “riduzione in schiavitù” delle orche nei parchi acquatici, ma senza successo. Ora questa di Cecilia accende una speranza. Quel che lascia davvero basiti è il fatto che nel 2017 esistano ancora posti così orribilmente crudeli come gli zoo.