Il quartiere Sanità ed il progetto «Un popolo in cammino»

Lunedì 18 Gennaio 2016, 11:54
5 Minuti di Lettura
Nel corso di questi ultimi tre mesi mi è capitato di andare e venire dalla Sanità diverse volte e, nonostante lì vi facesse il parroco il mio amico più vero, ormai non andavo più per lui , ma ogni volta incontravo nuova gente e così mi sentivo sempre più di casa in quel quartiere che fino a poco tempo prima mi era poco familiare. Incontravo i volti, le persone e tutto sotto una luce nuova. Provo a fare da queste considerazioni il punto della situazione di quel cammino che, iniziato il 5 dicembre 2015 con grande entusiasmo e non senza difficoltà, si era aperto sotto i colpi del dolore di un innocente.

Dall’esperienza del mio Maestro, Gesù di Nazareth, cuore della fede cristiana, c’è da aspettarsi che quel cammino non si fermerà presto, anzi è destinato a non finire mai perché il dolore innocente ci sarà sempre sulla faccia della terra, ma esso sarà per sempre il seme della speranza. Il cammino di quel giorno continua quindi nei volti delle persone che ho conosciuto per l’occasione, nell’amicizia costruita con loro. Se volete sapere dunque verso dove continua quel cammino, posso dire: l’amicizia tra varie zone della città, guardando negli occhi i giovani che troppo facilmente avresti giudicato superficiali o banali. Questa la nostra destinazione! Sì, perché noi napoletani siamo poco amici tra di noi, abbiamo un mare di pregiudizi tra quartiere e quartiere, eppure ci assomigliamo tanto sia che abitiamo in centro o nella periferia, sia che disponiamo di strumenti culturali o meno. Il nostro obiettivo non è politico ma socio- umanitario, per aiutare a far crescere il livello della qualità di vita, non tanto in base ai servizi offerti dalla società ai singoli cittadini, ma per la qualità delle relazioni, perché si fa cadere il muro che talvolta innalziamo, ritardando ulteriormente il cammino dello sviluppo.

Questo è l’orizzonte, ma ora andiamo a vedere i prossimi passi. Intendiamo anzitutto lavorare e riflettere sulle proposte avanzate in occasione della manifestazione per far sì che il popolo si possa ritrovare intorno ai temi centrali della sicurezza, della formazione e del lavoro, come fulcro in cui inserire la leva che deve portare la nostra società a compiere un passaggio che consenta, a un sempre più largo numero di persone, la concreta possibilità di partecipare al meccanismo di sviluppo dell’area metropolitana, nella legalità, in sicurezza e mediante il lavoro.

Il proseguimento del cammino lo abbiamo intravisto come la necessità di far riflettere di più le persone sulle problematiche sollevate dalla morte di tutti gli innocenti: per questo abbiamo pensato a delle assemblee cittadine da tenersi in tre punti della nostra città, dove tornare sui punti della manifestazione e chiedere di reagire e di proporre ipotesi di soluzioni, anche comprendendo che ci si apriva così alle più svariate e forse pittoresche ipotesi. La sfida che si riaffaccia sulla scena è proprio lo “scontatissimo” format dell’assemblea che convocano solo gli studenti, per parlare, forse anche troppo, ma parlare tutti, liberamente, ascoltare e ascoltarsi. Sono i verbi antichi della polis greca, della dinamica democratica, dove il popolo realmente diventa partecipe del meccanismo di crescita. Sono i verbi che si fondano sulla logica del confronto e non dello scontro, ma dove tutti sanno che alla fine ciò che sale a galla nel brodo della discussione lo deve solo alla sua forza argomentativa. A qualcuno certi discorsi parranno forse come una vecchia lettura romantica, ma intanto ci sforziamo di ridare parola alle persone, alle quali, dopo la preferenza nel voto, dopo la gran confusione generata dal cambio dei nomi dei partiti, purtroppo solo dei nomi, e dopo la larga diffusione a tripla e quadrupla banda della pseudo cultura dei grandi mezzi di telecomunicazione, non resta che la bocca, quel grande strumento che anticamente serviva per il vanto e ancora oggi molti usano a tale scopo, ma che, se ben collegata al cervello e connessa alla rete delle bocche e dei cervelli degli altri, può ancora fare miracoli. Far parlare, collegare, fare incontrare, scambiarsi sguardi di conoscenza e di approvazione, tutti indistintamente senza mettersi a chiedere titolo di studio e documenti, far sentire che alla fine abbiamo tutti i medesimi bisogni, le medesime attese, le stesse aspirazioni.

Al termine di questa seconda fase entreremo in un momento che potremmo definire di elaborazione della proposta con la quale intendiamo proseguire il confronto con le istituzioni, attraverso l’approfondimento di alcune idee che nel corso di questi mesi si sono sempre più disegnate all’interno dei nostri cervelli e che ora ci auguriamo possano prendere forma di iniziative concrete. Ma su questo non vi anticipo nulla, intanto perché non vi è nulla di preparato e in secondo luogo rischierei di far cadere l’interesse sull’incontro del 30 di gennaio previsto proprio a Forcella , o in altro luogo da definirsi a seconda della disponibilità degli spazi richiesti.

Come valutazioni conclusive posso aggiungere che siamo partiti dal dolore e ci auguriamo di generare la speranza. Non temete, non vogliamo fare i politici ma agire in modo politico, nel senso più profondo del termine, cioè da cittadini attivi, in grado di condizionare la vita della nostra città non in virtù del vile interesse, ma nella ricerca del bene comune. Scusatemi, mi correggo, vogliamo fare politica! Vogliamo ripristinare la politica perché la facciano tutti, perché tutti si sentano interessati al bene comune, sapendo che hanno tanto da guadagnarci e non solo in termini economici, ma soprattutto in qualità di vita. La nostra città lo merita, è lei che ha sostenuto i nostri passi nel cammino imbarazzato di tanti sacerdoti come me, che non avevano fatto marce di quel genere nemmeno al tempo spensierato del liceo; l’energia l’ha data Papa Francesco che, parlando a Scampia e a Nairobi, ha dato non solo voce ma dignità e futuro a tutti gli uomini e le donne delle periferie del mondo e non solo a quelle geografiche. Noi lo ringraziamo con un cuore immensamente grato: se Lui non fosse stato il Papa e non avesse detto quelle cose, oggi non staremmo parlando di questo, almeno non con la stessa forza, nonostante il fatto che il dolore per la morte innocente di Maikol, Genny, Antonio e tutti gli altri sarebbe comunque rimasto un profondo grido interiore, incapace di andare oltre la quotidiana azione pastorale e la preghiera. Oggi invece posso dire con chiarezza di coscienza che anche questo, nonostante tutte le enormi e continue difficoltà a rannodare i fili tra posizioni così diverse, è autenticamente azione pastorale.

don Vincenzo Liardo
© RIPRODUZIONE RISERVATA