Scuola, gli studenti del Sud ed il paragone con i giovani di Turchia e Cile

Lunedì 18 Gennaio 2016, 11:31
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Esiste un aspetto del divario tra Nord e Sud che meriterebbe più attenzione. È quello riguardante le competenze degli studenti. A mostrarlo sono i test scolastici in matematica e in lettura. Nell’ultima rilevazione del programma Ocse-Pisa (2012), nei test di matematica, gli studenti quindicenni del Sud e Isole hanno conseguito, mediamente, un punteggio di 446 punti, cioè 68 punti in meno di quelli del Nord-Est. I risultati degli studenti del Nord sono in linea con quelli tedeschi, mentre quelli del Sud e Isole sono più bassi di quelli della Turchia e simili a quelli del Cile, cioè di paesi molto meno sviluppati dell’Italia. Queste differenze si riscontrano già nei primi anni di scuola.

Lo dimostrano i test in italiano e in matematica, condotti dall’Invalsi nel secondo anno della scuola primaria, in cui i bambini del Nord ottengono punteggi di gran lunga superiori di quelli del Sud. Come si spiegano e che importanza hanno queste differenze? I divari regionali nelle competenze scolastiche, oltre a riflettere possibili differenze nella qualità dell’istruzione, dipendono fortemente dai contesti sociali ed economici di provenienza degli studenti. Condizioni di povertà, di disagio e deprivazione materiale e sociale si riflettono, infatti, negativamente sulle capacità di apprendimento e sulle competenze scolastiche. Nel 2014, nel Mezzogiorno 700mila famiglie (il 9% del totale) erano in condizione di povertà assoluta.

Quasi la metà dei residenti era a rischio di povertà ed esclusione sociale. L’incidenza della povertà – assai più elevata che al Nord - è maggiore per le famiglie più numerose, con figli minori. La povertà non è solo economica: non avere la possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare liberamente capacità e talenti, sin dai primi anni di vita, si traduce in povertà educativa. Una condizione che riguarda una serie di aspetti, a partire dalla possibilità di accedere ai servizi per l’infanzia. Nelle regioni del Nord-Est, oltre l’80 per cento dei comuni ha attivato un servizio di asilo nido, mentre la percentuale scende al 17 per cento in Campania e appena all’8 per cento in Calabria. Il risultato è che, mentre il 27 per cento dei bambini emiliani e il 23 per cento di quelli trentini frequentano un asilo pubblico, in Campania o Calabria sono meno di 3 bambini ogni cento. Disuguali opportunità di partenza. La disponibilità di servizi per l’infanzia ha un significativo effetto sull’occupazione femminile. In presenza di asili nido molte mamme a basso reddito sarebbero incentivate a trovare un lavoro. Ma c’è di più. La frequenza degli asili nido si associa a migliori risultati scolastici nella scuola primaria, in particolare per i bambini delle famiglie più svantaggiate. Le disuguaglianze regionali nella qualità e quantità di servizi pubblici di base non sono solo un ostacolo alla concreta realizzazione di diritti fondamentali, come quello all’istruzione o alla salute.

Riflettendosi sull’apprendimento, rappresentano anche un’insidia, perché accentuano le disuguaglianze di partenza e, dunque, contribuiscono alla trasmissione della povertà e delle disuguaglianze tra le generazioni. Minori opportunità di partenza si traducono in minori competenze e ciò si riflette sulle prospettive occupazionali e sulla condizione sociale da adulti. Le ricerche internazionali, come quelle condotte dal premio Nobel James Heckman, mostrano come, per i suoi effetti sociali, l’investimento nell’infanzia sia quello con il maggior rendimento. Nel nostro paese, i divari regionali nel “capitale umano”, nei livelli e nella qualità dell’istruzione, accrescono le disuguaglianze tra individui e generazioni. Investire in competenze, riducendo le disuguaglianze nelle opportunità a partire dall’infanzia, non significherebbe solo più equità sociale. Contribuirebbe anche a ridurre i divari regionali di un paese economicamente diviso come l’Italia.

Vittorio Daniele
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