Terremoto, Amatrice come Aleppo: l'obitorio in un prato

Terremoto, Amatrice come Aleppo: l'obitorio in un prato
di Mario Ajello
Venerdì 26 Agosto 2016, 09:04 - Ultimo agg. 27 Agosto, 09:42
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dal nostro inviato
AMATRICE «Sì, è lui». «No, non è lui». Nelle tende adibite a obitorio è il giorno della processione del riconoscimento. Una folla di persone in lacrime o impietrite dal dolore, ancora impolverate perché in quella polvere da terremoto c'è il ricordo del momento in cui i loro cari sono morti o ben vestita per rispetto del proprio lutto e di quello degli altri, vaga lungo il pratone.

 


Qui dove sono allineate, a volte nelle tende e a volte all'aria aperta, le buste bianche che contengono i defunti. Sembra una folla impazzita dal dolore questa dei familiari in cerca dell'ultima carezza da dare al figlio schiacciato dal soffitto in quella maledetta notte alle 3,37 o dell'ultimo bacio da regalare a un parente a cui si è voluto bene ma che non è sopravvissuto alla furia del terremoto. C'è chi, per trovare la salma che cerca, entra in tutte le tende. «No, in questa Marcello non c'è. E in quest'altra neppure. Ma devo trovarlo, non posso non trovarlo».

 

PIANTI E PREGHIERE
Qualcuno singhiozza, qualcuno prega, qualcuno prova a parlare ma non ce la fa, qualcun altro ascolta i lamenti degli altri e i rumori delle chiese che - poco distanti da questo obitorio campestre - stanno cadendo ancora e delle case che non smettono di franare sotto i colpi delle ultime scosse. Gente che va da una parte, gente che va dall'altra, ci si scontra, dentro e fuori dalle tende, nella affannosa ricerca del caro estinto. Chi inciampa, chi a un certo punto della ricerca si blocca sfiduciato e si stende a terra: «Vorrei morire anch'io». Ora arriva un'ambulanza che porta una nuova salma, ora esce un'altra ambulanza che porta via un corpo appena riconosciuto dai parenti. Una signora sui 60 si fa prendere dal dubbio: «Non è che non riesco a riconoscere mio nipote, che dovrebbe essere qui, perché sono passati già tre giorni e il suo corpo è già cambiato?». Intanto il prete dice messa su questo prato che è una valle dei caduti: «Non è sfortuna morire anche in momenti così tragici. Tirate fuori la vostra rabbia davanti a Dio. Anche questa è preghiera».

FIN DALL'ALBA
I cadaveri nelle buste sono quasi duecento. La folla è più del doppio. E a piccoli gruppi, già dall'alba ha cominciato ad arrivare quaggiù per il triste rito del riconoscimento di chi non c'è più. All'inizio, i cordoni di medici e polizia riescono a contenere la pressione del dolore che vuole entrare nelle tende, aprire ogni sacca per poter dire: eccolo è lui, e riempire quel corpo senza vita di un mare di affettuosità e di lacrime o magari di sorrisi per chi (pochi) se n'è già fatto una ragione e non può che constatare, come una ragazza che ha perduto il ragazzo: «Una strage, una strage, è stata una strage....». E ora l'atmosfera è da Spoon River, si raccontano esistenze spezzate. Lo smart-phone, sulle mani dei più, funge da testo. «Lo vedete questo bel ragazzo? Era mio figlio, guardate quanto era contento in questa foto, appena cinque giorni fa, prima di tornare dal mare e di venire a morire quassù». Si tratta del pianto di una madre. Ha trovato il figlio qui, dopo averlo cercato nel garage di una scuola alberghiera che fino a poche ore prima è stato il luogo di raccolta delle salme: un tappeto di morti in mezzo alle crepe e all'umidità. Poi quando il numero delle salme è cresciuto, è diventato obitorio il pratone del centro estivo don Minozzi, annesso all'omonima casa di riposo non crollata ma quasi, e sull'erba dove i bimbi scorrazzavano prima dell'apocalisse ora alcuni di loro sono chiusi e imbustati nei sacchi bianchi con su scritto un nome o un numeretto. E a volte, queste vite spezzate non hanno genitori che li possano piangere. Come nel caso della famiglia Torroni. È stata sterminata tutta: padre, madre, figlio di due anni e la figlia di otto mesi.

IL RICONOSCIMENTO
Le vittime ancora senza identità vengono fotografate dai medici sotto le tende, poi qualcuno dei sanitari si avvicina alla folla dei parenti e mostra le immagini: «È un vostro familiare questa persona? O almeno sapreste dirci chi è?». La risposta per lo più è negativa. Ma l'operazione e la richiesta, dall'alba in poi, si ripeteranno svariate volte, anche con esiti migliori. In uno dei sacchi c'è una ragazza e così si parla di lei: «Poverina, era pure incinta». Le richieste sono quelle che appartengono di diritto a momenti del genere: «Posso entrare una altra volta nella tenda solo per dire di nuovo ciao al mio Sergio?». «Mi fate dare l'ultimo sguardo a Maria Teresa?».

C'è una coppia che ha perduto i due figli. Erano ad Amatrice dai nonni e i genitori sono arrivati di corsa da Milano per vederli l'ultima volta. Gli psicologi dell'emergenza, collegati alla Protezione civile, si avvicinano subito alla coppia e cercano di consolarla, anche se è inutile. Un signore cerca la madre, il padre e la sorella. Fa l'appello del dolore: «Casini Paola, Cicconi Eugenio, Cicconi Anna». Piange: «Sono arrivati? In quali buste stanno?». Lui si chiama Vittorio, e narra: «Ho perso anche due nipoti in questa carneficina». Quella che ha ridotto Amatrice come Aleppo, anzi peggio, e in cui chi può porta vie le prime bare e si parla di funerali collettivi - per chi li desidera - che probabilmente si svolgeranno a Roma e di cremazioni.

Ecco un papà venuto da Giussano, nel milanese, per riconoscere il corpo del figlio Diego, 40 anni, impiegato in un'azienda che produce climatizzatori. Era in vacanza con la compagna, i due figli e il cane. Si sono salvati tutti, tranne lui. «Uno dei due figli di Diego - racconta il nonno - è riuscito a uscire subito dalla casa crollata. Il resto della famiglia è rimasta intrappolata perché la caduta di un muro sbarrava ogni via d'uscita». Il bambino ha girato per la città di notte, si è imbattuto in un gruppo di vigili del fuoco e li ha portati nella casa diroccata. In meno di un'ora, il fratellino, la compagna del papà e il cane sono stati estratti vivi dalle macerie. Ma Diego ha avuto un'altra sorte. Ora sta disteso sul prato in una delle buste bianche.