Ieri, il molestatore seriale dell’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è stato condannato con rito abbreviato per stalking, dopo un’udienza lampo celebrata con rito abbreviato, in assenza della vittima. Dopodiché, scortato dalla polizia penitenziaria, è stato riaccompagnato nel carcere di Lecco, dove è rinchiuso da mesi. Nel corso dell’udienza ha detto che non intendeva far male a nessuno: «Ero solo innamorato», ha detto a bassa voce.
«Ti ho dato due numeri miei», aveva preso a scrivere, nell’inverno del 2015, il disoccupato invaghito, «Se vuoi te ne posso dare altri.
Spiegami. Chiariamoci. Ho visto che mi vuoi fare arrestare». In realtà, Maria Elena Boschi aveva deciso di denunciare l’ammiratore potenzialmente pericoloso solo quando le invadenze erano diventate sempre più insistenti e farneticanti. «Tu sei il mio fiore. Ti amo», diceva una mail. E subito dopo: «Ma ti devo ammazzare». «Sai che mi stai facendo soffrire?». Nel corso di tre mesi, il ministro ha ricevuto quasi mille mail. «La preghiamo di non inviare più lettere non attinenti», gli aveva risposto in una occasione la sua segreteria personale, ovviamente senza convincere lo stalker.