Toghe, il business dei corsi: così sono state aggirate le regole anti-furbi

Toghe, il business dei corsi: così sono state aggirate le regole anti-furbi
di Valentino Di Giacomo
Lunedì 18 Dicembre 2017, 08:58 - Ultimo agg. 16:24
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Giudici che svolgono corsi a pagamento per aspiranti magistrati, visto che l'accesso al concorso non avviene subito dopo la laurea. Una pratica che va avanti da anni e allunga i tempi di ingresso in magistratura ma sulla quale i riflettori sono stati puntati solo in seguito al caso del giudice Bellomo grazie alle «originali» richieste avanzate alle sue allieve, come l'obbligo del dress-code di gonne e tacchi a spillo. La giungla dei corsi per i giovani che si apprestano a sostenere l'esame per entrare in magistratura ha creato la proliferazione di decine di Srl che si occupano della formazione degli aspiranti magistrati, con un giro d'affari milionario che coinvolge gli stessi giudici.

Uno spaccato della magistratura venuto fuori sui media solo di recente, ma nei palazzi romani la situazione nota. Già nel 2015 il Consiglio Superiore della Magistratura vietò ai giudici ordinari di svolgere questo genere di corsi attraverso una propria circolare, una delibera poi ulteriormente integrata lo scorso aprile in maniera stringente e lunga ben 21 pagine. Alcuni dei magistrati ordinari che tenevano i corsi avevano infatti preferito svolgere il concorso per entrare nella giustizia amministrativa, anche per evitare il rigido regolamento del Csm. Poi ci sono stati casi in cui i giudici hanno provato ad aggirare la circolare di Palazzo dei Marescialli, come avrebbe fatto il giudice Nalin implicato nella vicenda dei corsi organizzati da Bellomo e che ora è oggetto di un provvedimento disciplinare da parte del Csm che potrebbe costargli la radiazione.
 
Ma il vero business è quello messo in piedi dai giudici amministrativi che non rispondono giurisdizionalmente al Csm, bensì al Consiglio di presidenza della Giustizia Amministrativa (CPGA), l'organo di autogoverno per i giudici del Consiglio di Stato e del Tar. Lo scorso luglio anche il CPGA guidato dal presidente Alessandro Pajno ha provato ad arginare il fenomeno attraverso una delibera di due pagine che ha fissato 5 punti cardine. «Il magistrato che intende assumere un incarico di docenza recita il secondo comma della delibera - dovrà preventivamente attestare, con apposita dichiarazione scritta quali siano gli emolumenti pattuiti a titolo di compensi per l'attività svolta; che non sono previsti ulteriori compensi oltre a quelli pattuiti, nella forma di emolumenti o vantaggi economici comunque denominati, diretti o indiretti, anche per interposta persona».

In pratica dallo scorso luglio anche i giudici amministrativi saranno costretti a comunicare quanto guadagnano svolgendo le proprie lezioni agli aspiranti magistrati. Si tratta di una prima forma di regolamentazione nella giungla di questi corsi di preparazione ai concorsi, ma l'organo di autogoverno della giustizia amministrativa sembra non intende fermarsi. Venerdì scorso, nel corso dell'ultima riunione, la presidenza del CPGA ha deciso di affidare ad una delle commissioni il caso delle lezioni private. È in atto quindi un'ampia riflessione, ma che non si vuole affrontare sulla scia del clamore mediatico suscitato dal caso Bellomo.

Un altro punto della circolare emanata dall'organo di autogoverno della giustizia amministrativa è dedicato poi al mercato indotto dei corsi privati, quello editoriale. «Il magistrato è scritto - deve indicare se i partecipanti ai corsi sono vincolati ad adottare manuali e testi di cui lo stesso magistrato sia autore». Le attività imprenditoriali dei giudici erano quindi già tutte conosciute, resterà ora da capire se le regole saranno fatte rispettare in maniera tassativa. A Bellomo, ad esempio, è stato vietato già dallo scorso marzo di tenere lezioni. Per tutti gli altri il regolamento limita l'attività di insegnamento a 50 giorni l'anno.
 

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