Da Caserta agli Scavi di Pompei,
chi non vuole la svolta

di ​Oscar Giannino
Sabato 28 Gennaio 2017, 08:53
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La notizia di ieri agli scavi di Pompei non è la caduta di una porzione di muro di circa 1,5 mq, su una parete non affrescata di una domus chiusa al pubblico. Un crollo avvenuto in una delle aree degli scavi ancora non toccate dalla progressiva messa in sicurezza che finalmente si è messa energicamente in moto nel 2016. Per altro, tanto per ricordarci come vanno le cose purtroppo in Italia, gli interventi previsti in quell’area sono bloccati da un ricorso al Tar. No, la notizia è un’altra. È l’esposto-denuncia ai carabinieri presentato da due sindacati, Flp e Unsa, contro il soprintendente degli Scavi, Massimo Osanna, accusato di tenere nei confronti dei lavoratori «comportamenti anomali che il sindacato non può più tollerare». 

Ve la ricordate, nel marzo 2016, la denuncia contro il soprintendente alla Reggia di Caserta, Mauro Felicori, nominato pochi mesi prima e visto come un marziano perché arrivava da Bologna, accusato dai sindacati di lavorare troppo, trattenendosi negli uffici sino a tardi violando così i diritti dei lavoratori? Ecco, è del tutto analoga la filosofia della denuncia contro il sovrintendente di Pompei, l’archeologo lucano Massimo Osanna. La cui nomina, nel 2014, fu per altro preceduta da una protesta di ben 70 soprintendenti: la consideravano addirittura una «mortificazione delle professionalità interne». Ed è una filosofia che si sintetizza così: facciamogli cambiare idea, a questi sovrintendenti che si mettono in testa di lavorare seriamente per accrescere conservazione e attrattività del fantastico patrimonio che è stato loro affidato, perché se questo significa far anche pulizia di pessime abitudini cristallizzate nel tempo allora lo costringeremo a prendere atto che si espone a rischi personali. 

Sì, è un giudizio duro quello che esprimiamo. Deriva non da pregiudizio antisindacale, bensì dal merito delle accuse rivolte ad Osanna. Tanto erano ridicole quelle riservate a Felicori, quanto lo sono quelle rivolte a Osanna. Il 26 gennaio scorso i due sindacati avevano indetto un’assemblea. E il torto intollerabile di Osanna sarebbe stato quello, con il personale non partecipante all’assemblea e i funzionari e dirigenti in servizio, di tenere aperti al meglio possibile gli Scavi, informandone anche il pubblico per le parti invece non accessibili. È questa non solo una prassi del tutto legittima, ma innanzitutto i sindacati dovrebbero ricordare bene lo scandalo mondiale che avvenne quando, a fine luglio 2015, code interminabili di turisti retarono sotto il sole fuori dagli scavi, chiusi appunto per assemblea sindacale senza preavviso. Allora si disse «mai più». Compatibilmente col pieno rispetto dei diritti sindacali e dei prescritti tempi di convocazione delle assemblee, il sovrintendente può e deve consentire col personale che resta al lavoro l’accesso dei visitatori agli scavi, fruendo altresì del personale ALES messo a disposizione anche a questo fine del ministero, personale che è addetto alla sorveglianza di domus ed edifici in precedenza assegnati. 
È esattamente ciò che è accaduto il 26, i sindacati sanno benissimo che non c’è alcuna violazione di legge. Di conseguenza, l’esposto-denuncia è pura «ammuina», come si dice a Napoli. E copre il fatto che Osanna ha disposto pure qualche accorpamento di uffici sotto media produttiva di pratiche sbrigate, e retti da personale sindacalizzato: e ciò ai sindacati naturalmente non va giù. 

Sono i risultati concreti tradotti in numeri, a parlare a favore della svolta positiva finalmente incarnata da Osanna a Pompei e Felicori a Caserta. Caserta nel 2016 ha sommato 670mila visitatori, contro i 497mila nel 2015, e il sovrintendente ha avviato un’energica azione non solo di efficientamento ma anche di legalità, visto ciò che per anni si era tollerato alla Reggia, comprese locazioni illegittime. Pompei ha superato nel 2016 i 3 milioni e 200 mila visitatori, che sommando gli altri siti collegati - Ercolano e Stabia, Oplontis e Boscoreale – giungono a 3,7 milioni. Un successo clamoroso. Anche a Pompei c’erano rilevanti problemi di legalità, e per questo alla direzione generale del progetto Grande Pompei il governo aveva dovuto nominate un generale dei Carabinieri, Giovanni Nistri, a cui nel 2015 sempre per la stessa ragione è succeduto un altro generale dell’Arma, Luigi Curatoli.

Sotto Osanna si è vinta a fine 2015 la battaglia in Europa, strappando per il progetto Grande Pompei lo stanziamento triennale di 105 milioni che, grazie ai prezzi finali di aggiudicazione delle gare limati oculatamente, sono diventati 159 milioni, tutti già banditi per interventi da realizzare entro il 2018. E se ne sono aggiunti altri 40 milioni a fine 2016, stanziati dal Cipe. Mentre negli anni precedenti non si riuscivano a utilizzare neanche le magre somme a disposizione. È grazie a queste risorse, e alla speditezza e trasparenza con cui sono stati avviati gli interventi, che Pompei ha raggiunto risultati prima apparentemente impossibili. 

Tutto questo conta qualcosa, anche per i sindacati Flp e UNSA? Non si direbbe. Lamentano turni pesanti, addirittura che i custodi ormai, grazie alle nuove aperture ai visitatori di aree e domus, debbano ciascuno esercitare sorveglianza estesa su «mezzo campo di calcio», in condizioni a rischio per la salute. Oltre, naturalmente, alla violazione di diritti sindacali, di cui nelle procedure seguite non si scorge traccia. Protestano contro l’utilizzo del personale ALES, che è invece disposto per legge. 

Morale non della favola, ma di questa ennesima amara storia. Noi pensiamo che a Osanna, e a chi come lui e insieme a lui – ci sono eccome, da solo il sovrintendente non potrebbe nulla, né a Pompei né a Caserta – mette finalmente a lustro il patrimonio pubblico di rilevanza planetaria che è loro affidato, tutti debbano essere non solo grati, ma anche cooperanti coi loro sforzi. Se neppure dove si vedono finalmente i segni concreti e i successi di una svolta positiva, si riesce a catalizzare e realizzare quel cambio di mentalità necessario per abbandonarci alle spalle la vecchia idea di uno Stato incapace, lento, e talora anche ombrello di illeciti, allora davvero non abbiamo capito ancora nulla, di come si esce dal guaio italiano. 
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