Da oggi la giustizia tratta tutti da mafiosi

di Alessandro Barbano
Mercoledì 27 Settembre 2017, 08:41
4 Minuti di Lettura
Cari lettori, mentre leggete questo articolo il Parlamento sta votando perché la giustizia del sospetto diventi in Italia non una patologia del sistema, non un'eccezione, ma la regola. Il codice antimafia, varato nel 2011 dal governo Berlusconi su iniziativa dei ministri Maroni e Alfano, esteso poi da successive disposizioni di legge e dalla giurisprudenza anche ai non mafiosi, purché delinquenti abituali, da oggi sarà applicabile contro tutti i sospettati di reati contro la pubblica amministrazione, compreso il peculato semplice, consentendo il sequestro e la confisca dei beni che si ritengano, presuntivamente, frutto di un'attività criminosa. Da oggi una gran parte della risposta penale della giustizia italiana sarà affidata al cosiddetto giudizio di prevenzione, un procedimento che non prova la colpevolezza, ma la mera pericolosità sociale, che non acquisisce prove, ma valuta indizi e congetture, che non prevede un pieno contraddittorio tra accusa e difesa, e che rende inutile il processo, poiché anticipa la punizione rispetto alla condanna.

Le misure di prevenzione sono il sistema normativo più illiberale dell'Occidente. Ed infatti rappresentano un triste unicum in Europa. Sono figlie di un diritto cosiddetto del doppio binario, un diritto autoritario adottato dopo l'Unità d'Italia dalla destra storica per debellare i briganti, usato dai governi di fine Ottocento contro i primi sindacalisti e i movimenti operai, fatto proprio dal Fascismo contro i dissidenti, e sopravvissuto fino ai giorni nostri, nonostante la Carta costituzionale non ne facesse menzione, con l'intento, chiaro nei lavori preparatori, di abrogarlo per sempre.

È il diritto dei cattivi, delle regole spicce, del fine che giustifica i mezzi. Lo abbiamo eternato per combattere la mafia. E lo abbiamo difeso contro evidenza e ogni censura, come quella della Corte di Giustizia Europea, che solo pochi mesi fa ha esortato l'Italia a circoscriverne le fattispecie di pericolosità sociale, perché ritenute troppo generiche. Da oggi il diritto del doppio binario diventa la regola della giustizia italiana. Una giustizia dove si può entrare inconsapevolmente ben vestiti ed uscirne dopo anni nudi, senza sapere perché.

Il nuovo codice antimafia ottiene il risultato perseguito dalla maggioranza parlamentare: costruire un sistema penale securitario, in cui non è più necessario acquisire le prove, ma è sufficiente alimentare sospetti che non siano immediatamente fugabili, e annientare con la clava di un pm onnipotente la maestà di un giudice terzo inerme.

Da ultimo, per rendere la pillola digeribile, il Parlamento inserisce tra i reati per i quali sono possibili sequestri e confische anche lo stalking, un crimine odioso, contro il quale la pubblica opinione auspica misure più severe. Ma la Corte costituzionale non potrà mai assecondare la confisca dei beni di uno stalker, poiché non c'è nessun rapporto tra la natura della violenza e l'arricchimento indebito che la legge pone come presupposto. Tant'è. Una censura di costituzionalità val bene l'approvazione di un pacchetto che consente a una parte della magistratura di mettere sotto tutela, dopo la politica, anche l'economia italiana.

Allo stesso modo l'impegno, ventilato nei giorni scorsi, di approvare il nuovo codice antimafia e poi di stralciare con un successivo provvedimento i sequestri e le confische, abrogandoli, è evaporato nel dibattito parlamentare come una delle tante tattiche bugie che una certa politica dice, sapendo di mentire. La legislatura è al capolinea. E una parte di coloro che oggi approveranno il codice, domani farebbero mancare il loro voto per la sua modifica.

Il pacchetto, o il paccotto, come dir si voglia, è servito per mano di un ministro guardasigilli che ha stipulato un patto di reciproco interesse con una parte della magistratura militante e con un sistema dell'antimafia che alimenta un sottobosco consociativo e clientelare innervato nella politica, nella giustizia, nella burocrazia ministeriale e nelle professioni. Una gigantesca manomorta giudiziaria, che grazie ai sequestri e alle confische conta oggi qualcosa come 18mila aziende e un patrimonio stimato di 21 miliardi di euro, destinato in nove casi su dieci al fallimento. Questo sistema fuori controllo della democrazia italiana, in grado di tenere in scacco tutti i poteri che dovrebbero limitarlo, impone al Paese una legge fascista.

C'è da chiedersi come possa un governo di centrosinistra assecondare un simile esito della democrazia. E come possa farlo una maggioranza non ancora uscita dalla minaccia della più grave forma di inquinamento della storia repubblicana, il caso Consip. Lo smarrimento civile della politica, e della sinistra di governo che ne è protagonista in questa stagione, spiega in parte ciò che sta accadendo. C'è tra la maggioranza una grande quota di parlamentari, alcuni di cultura e di discreta esperienza, che sembrano subire il corso degli eventi, intontiti e schiacciati all'angolo del ring dall'assedio del populismo giustizialista, tentati di venire a patti con i potenti tutori della politica per sottrarsi al rischio di finire alla gogna.

Così il livido tramonto della legislatura somiglia a una trincea rassegnata e mal protetta, in cui la democrazia italiana se ne sta rannicchiata, nel tentativo di limitare i danni. Spaventata dalla furia di coloro che si annunciano alle porte come i nuovi liberatori, rinuncia a guardarsi in faccia e ad accorgersi che somiglia a un Paese sempre più brutto.

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA