Comunione ai divorziati? I Gesuiti: «La soluzione fu approvata dal Concilio di Trento»

Comunione ai divorziati? I Gesuiti: «La soluzione fu approvata dal Concilio di Trento»
di Franca Giansoldati
Giovedì 2 Ottobre 2014, 17:47 - Ultimo agg. 17:48
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CITTA' DEL VATICANO - La soluzione sulla comunione ai divorziati risposati potrebbe arrivare dal passato.



Potrebbe anche mettere d’accordo quei cardinali in fibrillazione per via del sinodo. Esiste la possibilità per i nuovi sposi di rifarsi un’altra vita ed essere ammessi ai sacramenti?



Mentre conservatori e progressisti si misurano a suon di citazioni bibliche, facendo riferimento all’insegnamento della Chiesa (che è sempre stato costante nella sua tradizione), i gesuiti della Civiltà Cattolica hanno pubblicato un articolo illuminante. La risoluzione arriva da lontano. Secoli e secoli or sono, durante il concilio di Trento, fu approvato «uno dei decreti più innovativi: quello sul matrimonio, detto "Tametsi"». Il documento anche se vietava i matrimoni clandestini, sanciva la libertà del consenso, l’unità e l’indissolubilità del vincolo, la celebrazione del sacramento alla presenza del sacerdote e dei testimoni; e imponeva, inoltre, la trascrizione dell’atto nei registri parrocchiali, introduceva una sorpresa.



Il 20 luglio 1563 ai padri conciliari venne distribuito per l'approvazione un testo di un canone: «Sia anatema chi dice che il matrimonio si può sciogliere per l’adulterio dell’altro coniuge, e che ad ambedue i coniugi o almeno a quello innocente, che non ha causato l’adulterio, sia lecito contrarre nuove nozze, e non commette adulterio chi si risposa dopo aver ripudiato la donna adultera, né la donna che, ripudiato l’uomo adultero, ne sposi un altro».



Dopo la discussione, 97 padri conciliari votarono favorevoli e la approvarono, mentre altri 80 risultarono contrari a questa prassi orientale. «Ciò non significa - scrive Civiltà Cattolica - che la maggioranza dei padri voleva mettere in questione l’indissolubilità del matrimonio: si intendeva solo discutere la forma della condanna. Rimaneva fermo il canone quinto, con le ragioni contro il divorzio». Insomma, uno spiraglio anche per quei divorziati risposati che hanno subìto, non per loro scelta, né colpa, la rottura di un matrimonio e si sono formati una nuova famiglia.



Si tratta di una pagina di storia poco conosciuta che «La Civiltà Cattolica», l'autorevole rivista dei gesuiti le cui bozze sono riviste dalla Segreteria di Stato, ha appena pubblicato. Un assist ai progressisti? Piuttosto un elemento che potrebbe aiutare a fare chiarezza in un dibattito – quello sinodale – che dalla prossima settimana si prevede scottante. L'articolo di padre Giancarlo Pani s'intitola «Matrimonio e seconde nozze al Concilio di Trento», e racconta quanto avvenne nel 1563.



L’autore scrive che la Chiesa, «radicata nella fede ricevuta dagli apostoli, deve saper guardare il presente e proiettarsi nel futuro, per aggiornarsi, per essere vicina agli uomini e rinnovarsi sotto l’azione dello Spirito.



Per i cattolici orientali era usuale, nel caso di adulterio della moglie, sciogliere il matrimonio e risposarsi, anche perchè esisteva un rito antichissimo dei loro Padri per la celebrazione delle nuove nozze. «Tale consuetudine - ricorda l'articolo di Civiltà Cattolica - non è stata mai condannata da nessun Concilio ecumenico, né essi sono stati colpiti da alcun anatema, benché quel rito sia stato sempre ben noto alla Chiesa cattolica romana».



I Padri della Chiesa tra cui Cirillo di Alessandria, a proposito delle cause di divorzio, affermava che «non sono le lettere di divorzio che sciolgono il matrimonio di fronte a Dio, ma la cattiva condotta dell’uomo». Giovanni Crisostomo, invece, giudicava l’adulterio la ragione della morte reale del matrimonio. Infine Basilio, quando parlava del marito abbandonato dalla moglie, riconosceva che egli può essere in comunione con la Chiesa (il testo presupponeva che il marito si fosse risposato).