Concordia, Schettino accusa i suoi sottoposti: «Sulla nave dopo Dio ci sono io», ma rischia 20 anni

Concordia, Schettino accusa i suoi sottoposti: «Sulla nave dopo Dio ci sono io», ma rischia 20 anni
Mercoledì 3 Dicembre 2014, 13:20 - Ultimo agg. 15:00
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​Francesco Schettino contro tutti: ma rischia vent'anni. Lui, il comandante della Concordia, la manovra da navigatore provetto sotto il Giglio l'aveva impostata bene e gli sarebbe anche riuscita. Ma i suoi ufficiali in plancia, dice, non compresero che le distanze dagli scogli erano sbagliate e, soprattutto, non lo avvisarono in tempo dell'urto imminente



È questa la suà verità, che fa perno su una presunta correttezza della manovra di avvicinamento al Giglio. Ma per la procura l'ex comandante della Concordia rischia oltre 20 anni. «Neanche avessi una scolaresca», ha accusato in aula al processo in corso a Grosseto. In realtà, afferma Schettino, «fui tratto in inganno dal mutismo generale in plancia di comando», poi «vidi la schiuma dell'acqua dal finestrone».



La sua difesa, davanti alle domande del pm Alessandro Leopizzi che oggi ha cominciato ad interrogarlo sul naufragio del Giglio, finalmente diventa chiara: Schettino ripartisce le responsabilità tra gli errori e le omissioni degli ufficiali di plancia con lui la sera del 13 gennaio 2012, tutti indagati che hanno patteggiato.



Secondo lui, avrebbero dovuto avvisarlo che la nave finiva dritta contro gli scogli. Una verita «che, uno per uno, non risparmia il comandante in seconda Ciro Ambrosio il quale - a dire di Schettino - esitò, perdendo tempo, a commutare la navigazione da automatica a manuale. Né sottostima gli errori del timoniere indonesiano Jacob Rusli Bin, che sbagliò le virate nel momento cruciale agli ultimi metri utili. In uno sfogo ha perfino accusato il cartografo Simone Canessa di aver tracciato la rotta fatale su una carta nautica inadeguata (anche se al pm ha detto di aver approvato lui la rotta).



E in generale tutta la plancia, compresa la giovane ufficiale donna Silvia Coronica, che ha ricevuto critiche dall'imputato perchè la nave era fuori rotta di quattro minuti. «Se non avessi visto quella benedetta schiuma, chi parlava in plancia? Il mutismo generale mi ha tratto in inganno», ha detto Schettino. «Se qualcuno avesse avuto accuratezza non avrei detto Andiamo sugli scoglì ma qualcuno degli ufficiali mi avrebbe dovuto dire ”Comandante, siamo sugli scogli!”: e invece stettero zitti». Ancora sul passaggio di consegne, mentre la nave andava a 15 nodi e mezzo, ha criticato Ambrosio dicendo: «Se con il mio comportamento ho generato un dubbio a una persona adulta, lui doveva essere in grado di manifestarlo».



E comunque «non si creda che non abbia tormento per questa stupidata. Ma bastava parlare per evitarla».

Così, al momento della frase «the master take the com», quando Schettino comunicò che prendeva il comando, l'imputato ha detto che se chi tiene la rotta, cioè Ambrosio, «ha dubbi deve manifestarli». Invece «credevo di essere molto più distante dalla costa». «O siamo dei kamikaze - è stato un altro pensiero di Schettino -, o avevano tutti paura di parlare, o un ufficiale mi ha detto una bugia e la carta nautica era sbagliata. Oppure avevamo preso un sottomarino!».



Ce n'è anche per il contornò di ospiti in plancia. Dopo aver tirato in ballo l'ex comandante di navi Costa Mario Palombo, gigliese d'adozione, cui telefonò «30 secondi» per chiedergli della profondità presso l'isola, Schettino ha parlato del maitre Antonello Tievoli che da tempo gli chiedeva un passaggio ravvicinato all'isola, dove ha la famiglia. «È a Tievoli che ho fatto il favore, non alla signora Domnica Cemortan», ha anche risposto al pm.



La moldava con altri, fra cui Ciro Onorato e lo stesso Tievoli, fu ammessa alla plancia per ammirare l'accostata. Un accesso che, secondo Schettino, si fa solitamente sulle navi per ravvivare il soggiorno dei crocieristi e la compagnia, in genere, ai passeggeri fa pagare fino oltre 60 euro (ma non è il caso di quella sera; lì erano tutti ospiti di Schettino).

Domani l'interrogatorio prosegue: dopo la manovra, l'urto e la prima emergenza, sarà trattata la fase dell'abbandono della nave e lo sbarco sull'isola. La procura - che potrebbe chiedere 20-22 anni di carcere, ma ancora è presto per questi conti - ha portato un nuovo video che mostra Schettino all'imbarco alle scialuppe su un ponte esterno della nave già inclinata di fianco.



«Schettino, perché non dette subito l'emergenza generale?», ha chiesto il pm Alessandro Leopizzi affrontando il tema del ritardato allarme ai passeggeri. «Volevo far arrivare la nave più possibile sotto l'isola, altrimenti se avessimo dato i 7 fischi brevi e uno lungo, con le vibrazioni che c'erano state, la gente si sarebbe buttata in acqua» quando Concordia scarrocciava in alto mare dopo l'urto. Così Francesco Schettino si difende alle domande incalzanti del pm che lo accusa di non aver attivato subito le procedure di emergenza.



Schettino alle contestazioni del pm ha risposto dicendo di essere sicuro «della galleggiabilità della nave» anche con tre compartimenti motori allagati e che «d'inerzia, con la prora al vento» di grecale «sarebbe tornata verso l'isola». «Ho atteso a dare l'emergenza generale» perchè «sapevo esattamente i tempi di scarroccio della nave, io conoscevo bene la Concordia, volevo fare in modo che la nave si avvicinasse all'isola e poi allora dare l'emergenza generale. Il danno era ormai fatto. Andava mitigato». Il pm Leopizzi comunque ha insistito molto sul ritardato allarme - la nave aveva i locali motore allagati, non aveva più propulsione, il generatore d'emergenza era ko - e quando ha chiesto a Schettino anche degli annunci vocali rassicuranti fatti dare dal personale ai crocieristi terrorizzati, il comandante della Concordia ha detto: «L'ho fatto per tranquillizzare le persone, temevo il panico».

Sulla nave «io, come comandante, sono il primo dopo di Dio».



Anche così Francesco Schettino ha risposto al pm Alessandro Leopizzi che lo incalza sul tardato allarme dopo l'urto della Concordia al Giglio. Schettino lo ha detto mentre spiegava come agì, nel suo ruolo di comandante della nave, nelle fasi successive all'impatto contro gli scogli.



«Ferrarini (unità di crisi di Costa, spa) mi disse "Chiamo io la capitaneria", mentre io feci chiamare la capitaneria di Civitavecchia e dò il mio cellulare, sempre nella consapevolezza che la nave rimanesse a galla con tre compartimenti allagati» e «per chiamare i rimorchiatori». Lo ha detto Francesco Schettino interrogato dal pm Alessandro Leopizzi. «Perchè a Civitavecchia lei dà il cellulare e non chiede via radio i rimorchiatori, voleva risparmiare sul costo?», ha anche chiesto il pm.



«Perch via radio avrebbero sentito tutti» e comunque «io non ho privilegiato la nave rispetto alle vite umane. Il prezzo l'avrei concordato successivamente. Avrei agito con freddezza una volta che tutti i passeggeri fossero stati in sicurezza».



Il pm ha rilevato che la procedura di emergenza prevede di chiedere soccorso via radio. In aula vengono fatti ascoltare alcuni brani intercettati e la telefonata in cui dalla Concordia, su ordine di Schettino, alla capitaneria di Livorno fu detto che c'era soltanto un blackout a bordo: «Non cambiava nulla - risponde il comandante - Già dire che c'era il blackout era motivo di allarme per la capitaneria». Il pm Leopizzi ha fatto notare a Schettino che tra le accuse che lo riguardano c'è la mancanza di comunicazioni con l'autorità.