Consip, è caccia alla «talpa» napoletana: due procuratori a colloquio

Consip, è caccia alla «talpa» napoletana: due procuratori a colloquio
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 17 Maggio 2017, 08:36 - Ultimo agg. 20:07
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Anche questa volta si sono sentiti, anche in questo caso il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il procuratore napoletano facente funzioni Nunzio Fragliasso si sono parlati al telefono. Una conversazione avvenuta in mattinata, ovviamente dopo la lettura del Fatto quotidiano con lo scoop della telefonata tra Renzi padre e Renzi figlio e prima dell’agenzia delle 13.19 sulla decisione della Procura di Roma di aprire un’inchiesta per violazione del segreto istruttorio, ma anche su un dato tutt’altro che secondario: il sospetto che anche in questo caso la fuga di notizie abbia una genesi napoletana.

Ieri, dunque, la telefonata tra i due Procuratori, quasi a sottolineare l’assenza di uno scontro istituzionale tra due uffici inquirenti e la necessità di dare corso alle verifiche del caso. Un’inchiesta, quella sulle fughe di notizie, che fa i conti comunque con una serie di date decisive nella gestione della vicenda Consip. Mancano pochi giorni prima di Natale, quando il Fatto pubblica la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati del comandante generale dei carabinieri Del Sette e del comandante della Toscana Saltalamacchia, ma anche del ministro allo Sport Luca Lotti. Violazione di atti coperti di un’inchiesta che fa appena in tempo a svelare i suoi contenuti che finisce - nel suo nucleo centrale - per competenza territoriale proprio alla Procura di Roma. Ricordate il vertice tra le Procure? Era l’undici gennaio scorso, quando si decise di trasmettere le carte sulla Consip a Roma, per la competenza territoriale sulle presunte tangenti per ammorbidire i funzionari della stazione appaltante del Ministero dell’Economia, e di lasciare a Napoli poco più delle briciole, a proposito dei rapporti di Romeo con dirigenti comunali o amministratori del Cardarelli. Uno schema che stava alla base degli arresti dello stesso Alfredo Romeo, indagato numero uno per la storia della Consip. Primo marzo, Romeo in cella, sull’onda d’urto delle accuse di Marco Gasparri (incartate a Napoli in un interrogatorio di metà dicembre), accusato di corruzione per aver pagato tangenti da 100mila euro. Dal giorno dopo, iniziano trame per molti versi occulte, forse i due mesi più difficili nei rapporti tra i due uffici inquirenti. Un periodo non ancora concluso, destinato a nuovi sviluppi, accertamenti e verifiche. È il due marzo, quando avviene la telefonata tra Matteo e Tiziano Renzi, ascoltata in tempo reale dal capitano Gian Paolo Scafarto, l’ufficiale del Noe oggi sotto accusa per una doppia ipotesi di falso (avrebbe attribuito a Romeo la frase «Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato», in realtà pronunciata dal Italo Bocchino; e avrebbe omesso di segnalare nell’informativa conclusiva che le indagini dei suoi uomini smentivano la pista del controspionaggio di 007 mandati dall’allora presidente del Consiglio Renzi a tallonare il Noe).

Appena 48 ore dopo accade qualcosa che è destinato a rimanere negli annali della cronaca giudiziaria recente: è sabato 4 marzo, quando il procuratore Pignatone chiude i conti con il Noe. Revoca la delega delle indagini, confermando invece la continuità delle stesse al nucleo di polizia tributaria napoletano agli ordini del comandante Giovanni Salerno. In un comunicato stampa si parla espressamente di «fughe di notizie» che dallo scorso dicembre hanno costellato la storia dell’inchiesta su Romeo, Consip e Giglio magico. Ma non è finita. Proprio in quelle ore, tra il quattro e il cinque marzo, i giornali danno notizie di atti assolutamente riservati, che non rientrano tra quelli depositati a sostegno degli arresti di Romeo (e che comunque non vengono volutamente ritirati dai legali dell’imprenditore casertano finito agli arresti). È così che l’attenzione della Procura di Roma si concentra su intercettazioni e pedinamenti che appartengono a un documento destinato a rimanere top secret. Scorrono paginate di verbali in cui spicca la telefonata di Roberto Bargilli, autista fidato di Tiziano Renzi e assessore comunale di un comune toscano, che chiama Carlo Russo (l’«omino» al quale Romeo si sarebbe rivolto per evitare l’accerchiamento in Consip di altri gruppi di imprese, ndr) e gli intima di non chiamare più babbo Renzi.

Pubblicazioni che alimentano la sfiducia della Procura di Pignatone nei confronti del Noe che, nel frattempo, resta nella partita delle indagini napoletane. È il 10 aprile quando si viene a sapere che Scafarto è indagato a Roma, mentre a Napoli si confrontano gli inquirenti del caso Consip e, due giorni dopo, il reggente firma un comunicato stampa per dire che l’inchiesta romana non ha alcun riflesso con le indagini napoletane.

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