Consip, intercettazioni trascritte senza regole

di Carlo Nordio
Mercoledì 12 Aprile 2017, 08:41 - Ultimo agg. 08:43
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Non sappiamo se le intercettazioni che sono costate a Tiziano Renzi un estenuante crepacuore, e al capitano del Noe un’indagine per falso, siano frutto di una maliziosa congiura o di un grossolano errore di trascrizione. La prima ipotesi sarebbe così grave che non varrebbe nemmeno la pena di commentarla. Ma la seconda, paradossalmente, sarebbe anche più allarmante: perché farebbe emergere i colossali rischi connessi a questo insidioso strumento di indagine. 

Rischi connessi non solo all’ipotesi, per fortuna episodica e remota, di un Ufficiale infedele e di qualche magistrato quantomeno distratto, ma alla stessa struttura delle intercettazioni, alle quali si può applicare l’ammonimento di Bultmann sui Vangeli sinottici: «Studiamone ogni parola, perché non siamo sicuri di nulla».

Per capire il barile di polvere dove ogni cittadino, come potenziale intercettato, è seduto, occorre spiegare come le sue conversazioni vengono captate, trascritte e magari commentate. Dunque: per piazzare un microfono in un telefono, una «cimice» in un ambiente o un qualsiasi altro congegno invasivo della privacy occorre una richiesta del Pm e un’autorizzazione del Giudice. I presupposti per questi provvedimenti sono rigorosi, ma i magistrati li interpretano con una certa elasticità. Le conversazioni vengono quindi registrate e ascoltate da uno o più operatori, e qui cominciano i guai. Non occorre infatti essere esperti in fonetica o glottologia per capire che queste chiacchierate sono spesso interrotte, confuse, e comunque inaffidabili. Soprattutto quando coinvolgono più persone, le voci si accavallano, i rumori aumentano, i toni si smorzano e si accendono, le parole e le frasi si interrompono, per poi riprendere vigore e spegnersi di nuovo.

Ebbene, tutte queste esuberanze vocali, spesso inconcludenti e condite di volgarità pittoresche, vengono ricostruite dall’ascoltatore, il quale, seguendo il detto latino «potius ut valeant quam pereant», piuttosto che ammettere di non averci capito nulla tende ad attribuirvi un significato personale. Se poi si aggiunge che nella trascrizione manca il tono, arriviamo all’assurdo che l’amanuense, costretto - come sopra - a interpretarne il senso, condisce il suo giudizio con interpretazioni stravaganti del tipo: «Bestemmia affermativa!». A suo avviso, l’offesa al Padreterno dell’intercettato è, tenuto conto del timbro della sua voce, concludente e asseverativa.


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