Il Veneto, con i suoi 608 plessi scolastici, e la Calabria, con 378, sono le regioni dove la richiesta delle ragionerie territoriali è partita prima e a tappeto, ma né il ministero delle Finanze né quello dell’Istruzione escludono che via via altre realtà regionali possano essere coinvolte nella restituzione. Le ragioni della vicenda affondano nel rinnovo del contratto dei dirigenti scolastici del 2011. Meglio, nei ritardi dell’applicazione del rinnovo del contratto integrativo regionale. In diverse regioni – perché, sì, le buste paga dei presidi italiani sono differenziate a livello territoriale – i nuovi contratti sono stati fatti al ribasso (ritoccando all’ingiù le voci di “risultato” e “posizione”). Eppure, la burocrazia ministeriale dal 2012 al 2015 ha continuato a versare i vecchi stipendi. Quando i funzionari degli uffici scolastici regionali, la Calabria e il Veneto nell’ordine, se ne sono accorti, prima hanno ritoccato a perdere le buste paga e poi hanno chiesto ai pubblici funzionari gli arretrati.
L’Associazione nazionale presidi ora minaccia ricorso, l’Udir - costola dei dirigenti scolastici del sindacato Anief - ha già preparato il suo modello.
L’applicazione della legge Tremonti tra il 2012 e il 2016 ha tagliato ai presidi italiani 35 milioni di euro. Uno stipendio che ancora in tempi recenti arrivava a tremila euro il mese, oggi viaggia sui 2.400: le ultime contrattazioni, infatti, non riconoscono più l’anzianità accumulata nel periodo in cui il dirigente scolastico è stato docente.