Coronavirus, Pechino blocca i gruppi dei turisti: la febbre fa male anche agli affari

Coronavirus, Pechino blocca i gruppi dei turisti: la febbre fa male anche agli affari
di Nando Santonastaso
Domenica 26 Gennaio 2020, 08:30 - Ultimo agg. 12:07
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I più allarmati, a quanto pare, sono gli albergatori e gli operatori turistici di Venezia. Dopo la batosta dell'acqua alta a inizio novembre, ora temono l'effetto del coronavirus alla luce della decisione delle autorità di Pechino di bloccare i pacchetti turistici internazionali per impedire la diffusione del contagio. A rischio ci sarebbero almeno 60 milioni di euro di indotto economico ricollegabili alla presenza di turisti cinesi in laguna. Una cifra enorme, calcolata non solo in base alle presenze negli hotel o in altre strutture ricettive ma soprattutto in rapporto al volume di acquisti, specialmente nei negozi del lusso. «Qualche disdetta per il Carnevale c'è stata ma grandi problemi per gli alberghi non ne abbiamo . dice Claudio Scarpa, direttore dell'Associazione degli albergatori veneziani - il turismo cinese da noi rappresenta il 4% degli arrivi e il 3% delle presenze, è il turismo del futuro». Ma da Venezia a Firenze, da Roma a Napoli, è stata proprio la nazionalità cinese a generare la maggiore quota di acquisti tax free negli esercizi commerciali del lusso nazionali, superando il 30% del totale (i viaggiatori russi si sono fermati al 12%, i giapponesi al 5%, riferiscono i dati 2019 di Global Blue, società leader nel Tax Refund).

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Difficile al momento azzardare previsioni su come e quanto peseranno, a medio e lungo termine, le conseguenze del virus di Wuhan. Ma che l'Italia sia potenzialmente più esposta sul piano turistico di altri Paesi europei sembra certo. Lo dimostra il fatto che nell'anno appena concluso le presenze cinesi sarebbero aumentate di un milione rispetto al 2018, superando il tetto dei sei milioni. La previsione, contenuta in uno studio della Cna, la Confederazione nazionale dell'Artigianato, è in attesa di conferme ma appare piuttosto credibile dal momento che il trend di crescita è in atto già da anni. Nel 2016 i cinesi in Italia erano stati 4,5 milioni, e quello era anche anno dell'apertura di undici centri consolari per i visti d'ingresso che ha sicuramente facilitato l'approccio al nostro Paese. In termini relativi, insomma, l'incremento delle presenze toccherebbe il 33% in tre anni.

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Ancora più significativa è la previsione dei volumi economici generati da questa ondata turistica proveniente dall'Estremo Oriente: si ragiona in termini di un miliardo e mezzo di euro tra spese di viaggio, per il pernottamento e per il food ma anche per lo shopping. Come dimostrato a Venezia, tra i turisti extra-europei i cinesi sono quelli che mediamente spendono di più. Dall'analisi degli acquisti tax free spiega ancora lo studio della Cna «emerge uno scontrino pro capite superiore ai mille euro, ovviamente per quanti presentano la richiesta di rimborso prima di lasciare il nostro Paese. Una somma ingente, che incorpora, però, anche un altro fenomeno. Quello degli acquisti per interposta persona, sempre più diffusi tra i cinesi venuti in Italia, che importano privatamente prodotti acquistati per conto terzi, ordinati magari attraverso piattaforme digitali dedicate. Tra i turisti cinesi proprio l'attrazione esercitata dai marchi italiani dell'abbigliamento in particolare, dell'enogastronomia, del design favorisce la forte presenza di donne (rappresentano il 60% del totale) e la preponderante giovane (ma non giovanissima) età: il 65% conta tra i 20 e i 45 anni».
 


Resta cauto il presidente nazionale di Federterme, il Cavaliere del Lavoro Costanzo Jannotti Pecci, già presidente di Federturismo Confindustria: «Monitoreremo con attenzione l'evolversi della situazione legata al blocco dei pacchetti turistici cinesi verso l'Italia. Il termometro migliore resta quello dei visti rilasciati dall'ambasciata e dalle sedi consolari e per ora non ci sono allarmi per disdette o rinunce. Del resto, l'esperienza della Sars nel 2003 ci induce a non essere pessimisti: d'accordo, il turismo di allora non era paragonabile a quello di oggi ma le ricadute negative per l'Italia furono decisamente modeste. Il vero problema del turismo da noi è un altro, è l'incontrollata proliferazione di B&B e altre strutture ricettive fuori controllo che alterano il sistema fiscale a danno degli albergatori in regola».

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I cinesi forse lo ignorano ma di fatto, secondo quello che sostiene l'Enit, l'Ente nazionale per il turismo, l'Italia resta comunque la loro meta turistica preferita in Europa. Con 3 milioni di arrivi e 5 milioni di presenze di turisti cinesi (dati 2018) il nostro Paese è in vetta alla classifica, superando Francia, Germania e Spagna. La novità del 2019 è stata una loro sempre maggiore attenzione verso le città d'arte e più in generale verso il turismo culturale anche nel Mezzogiorno con i siti Unesco di Pompei, Amalfi e la valle dei Templi di Agrigento in cima alle preferenze. «I viaggiatori provenienti dalla Cina si legge nel rapporto Enit 2019 destinano più della metà dei loro investimenti in vacanze culturali: 353 milioni di euro, il 56,8% della spesa totale». Particolare non trascurabile, le visite più numerose si sono concentrate tra la primavera e l'estate, periodi che appaiono oggi più lontani dall'emergenza del corona virus e tali quindi da poter evitare il temuto blocco delle prenotazioni, sempre ovviamente che si riesca nel giro di poche settimane a fermare il virus e a restituire sicurezza a chi viaggia. Al momento restano valide le indicazioni previste sui flussi potenziali del 2020: e cioè ben 108 voli settimanali da e per la Cina che saliranno a 164 nel 2022, scavalcando anche la Francia considerata ancora il benchmark europeo nei rapporti con Pechino. 

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