Napoli, cinque milioni per i disabili
bloccati nelle casse del Comune

Napoli, cinque milioni per i disabili bloccati nelle casse del Comune
di Mariagiovanna Capone
Giovedì 15 Dicembre 2016, 23:59 - Ultimo agg. 16 Dicembre, 08:39
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I soldi sono in cassa. Eppure centinaia di persone non autosufficienti da mesi aspettano che gli vengano girati i compensi mensili dovuti. Un altro buco nero nella gestione del welfare cittadino.

Dopo le problematiche e gli enormi disagi che il Comune di Napoli sta facendo vivere a migliaia di disabili, bambini e anziani, ecco una nuova rogna per l’assessorato alle Politiche sociali. Stavolta l’argomento riguarda gli assegni di cura dove si registrano ritardi non ammissibili per famiglie che hanno scelto questa formula di assistenza che avrebbe dovuto, almeno teoricamente, facilitarli enormemente nella gestione quotidiana. Questa, infatti, è a tutti gli effetti una sostituzione dell’Assistenza Domiciliare Socio Assistenziale (Adsa), solitamente coordinata da assistenti sociali di ogni Municipalità ed eseguita dalle cooperative sociali. Gli assegni di cura, quindi, sono un modo per bypassare questa gestione esterna, con la famiglia del carico di cura che diventa lui stesso coordinatore della spesa, riuscendo così a pianificare meglio i vari impegni che favoriscono la permanenza a domicilio delle persone non autosufficienti. A mettere i fondi di questo servizio è la Regione Campania che ogni anno emana un bando cui possono partecipare i disabili gravissimi e gravi (comprese le persone con Sla e malattie del motoneurone). Il 29 novembre la Regione Campania ha liquidato il Comune di Napoli con 5milioni 352mila euro per 350 beneficiari delle 10 Municipalità, a fronte di 800 Unità di Valutazione Integrata (UVI) attivate, ovvero disabili non finiti in graduatoria. A seconda della gravità della disabilità, cambia l’importo dell’assegno di cura che sostanzialmente è suddiviso in tre fasce: 600 euro, 900 euro e 1.500 euro mensili. Dovrebbero essere pagati a scadenza bimestrale ma le famiglie parlano di due assegni comprensivi di sei mesi ciascuno. Solo che la seconda tranche non si è ancora vista. Quello che sta accadendo è davvero il colmo. Chi ha scelto questa forma di assistenza, lo ha fatto per le difficoltà che il welfare sta vivendo, con tagli al bilancio consistenti, operatori licenziati, contratti non rinnovati e pagamenti alle cooperative diluite negli anni.

A ottobre, giusto per fare un esempio, per 10 giorni l’Adsa è stata interrotta perché il Comune non ha rinnovato il contratto degli operatori sociali e un migliaio di anziani e disabili sono rimasti senza assistenza. Servizio poi ripreso tra salti mortali e una variazione al bilancio, con una prima tranche economica che coprirà i contratti fino al 28 febbraio e una seconda di 4milioni e mezzo per terminare il 2017. Situazione ancora più drammatica avvenne nel 2014, con molte più settimane di fermo e un caos che mise in ginocchio le famiglie dei disabili. Insomma, chi vive già quotidianamente una difficoltà, troppo di frequente si trova di fronte a un bivio: continuo a dipendere da Comune e cooperative, oppure mi faccio pagare un assegno di cura e coordino tutto da me? Tantissimi hanno continuato con la prima opzione, che seppure complessa, obbliga l’amministrazione comunale a impegnarsi per i suoi cittadini più deboli. «Settecento euro al mese e ve la vedete voi» fu la proposta che l’assistente sociale di Chiara riferì proprio a ottobre, in pieno caos Adsa, alla sorella Angela (entrambi i nomi sono di fantasia) che vive con lei. Un’offerta che aveva il sapore di «un consiglio da seguire», perché immediatamente riferito dopo aver elencato le difficoltà che stavano attraversando le politiche sociali.

Ma Angela rifiutò perché «se il servizio assistenziale pagato dal Comune direttamente alle cooperative sociali è andato in tilt per mancanza di fondi, perché questi soldi dovrebbero esserci per le famiglie? Oppure il Comune crede che noi familiari dovremmo anticipare di tasca nostra lo stipendio agli operatori sociali? A me sembra un modo per lavarsene le mani». Un servizio che a detta di molti avrebbe creato altro caos perché il rischio che non ci sia controllo è assai alto. «Oltre a deresponsabilizzarsi, l’amministrazione comunale, quindi, potrebbe alimentare il circuito del lavoro nero».

Ma un migliaio hanno fatto domanda, forse per inesperienza o forse perché spinti dagli assistenti sociali, e scelto la seconda opzione, pentendosene amaramente. «Chiamo ogni giorno in assessorato» confessa il papà di una ragazzina con disabilità gravissima che per seguirla ha optato per un lavoro partime e quindi uno stipendio enormemente ridotto. «L’ho fatto per stare accanto a mia figlia, per non lasciarla mai da sola anche se vive in una sorta di limbo per un danno cerebrale provocato da ipossia. Questo assegno è fondamentale per avere l’aiuto necessario alla quotidianità. Ma a ogni telefonata mi rispondono: chiami domani. Sono trascorsi sei mesi e sono stanco, resisto solo per mia figlia. Mi sento abbandonato, questa città disprezza i suoi figli più deboli e sfortunati».
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