Si dirà: la Germania è la Germania, con tutto quello che di implicito e pure di negativo c’è in questa ammissione: durezza, volontà di potenza, egemonia su tutto quel che tocca, ma va subito detto che, scontate queste cose, senza di essa – o con essa nelle stesse difficoltà degli altri- l’Europa già sarebbe in ginocchio, non avrebbe né il punto di riferimento per un contrasto anche duro né una realtà con la quale entrare in relazione.
La Francia è l’altro grande paese europeo che per cinquant’anni e più ha guidato l’Europa che vuole integrarsi, in alleanza con quella Germania con la quale si era dilaniata in terribili guerre (mi pare che gli storici ne abbiano contate più di venti) lungo tutta la storia dell’Europa moderna. Insieme, hanno formato l’asse franco-tedesco che, val ben la pena ricordarlo, ha conosciuto la sua prima difficoltà dopo il 1989 quando la Germania si è unificata e il suo peso in Europa è più che raddoppiato, e le opportunità e gli squilibri si sono moltiplicati. Declino profondo della Francia in questi anni.
Sempre più incerto il suo ruolo in Europa, sempre più divisa al proprio interno tra una destra consolidata e dichiaratamenre antieuropea; una socialdemocrazia in declino fin quasi alla scomparsa tra le macerie di vecchi discorsi sindacali; un gollismo anch’esso incapace di un disegno nuovo, inadatto a misurarsi con il grande vicino. E il terrorismo che la vede in prima linea in una lotta scatenata e la sua fisionomia politica che diventa incerta, proteiforme, assente o con cattiva presenza nei suoi conati da vecchia potenza, come una realtà che guarda dentro di sé, con uno sguardo chiuso su se stessa. Da quanto tempo la Francia non parla più all’Europa? Il voto francese di domani, e naturalmente quello conclusivo del 7 maggio, perciò è decisivo, perché riguarda la collocazione in Europa di uno Stato-guida, quella «seconda» realtà senza la quale l’Europa è niente e che oggi, dopo Brexit, è ancor più determinante.
E la Germania diventa, nell’incertezza francese, per la forza delle cose, ancor più «Germania» nel senso detto, di Stato troppo forte e solo, e tutto entra in confusione e in difficoltà, e gli squilibri si aggravano fino alla possibilità di una disgregazione. Perciò domani siamo letteralmente appesi alle notizie che giungeranno da Parigi. Giacchè nessuno che abbia buon senso e parola articolata può per davvero immaginare che tutto debba andare a concludersi così: chiudiamo le frontiere, rimettiamoci dentro i nostri confini e tutto si aggiusta (ma i terroristi stanno già dentro, un particolare dimenticato nell’epoca della post-verità), rimettiamoci a batter moneta e ad armare eserciti nazionali e tutto va a posto.
Ma non è così, la pura introversione conduce, prima o dopo, in un vicolo cieco. Il che non significa sottovalutare le ragioni che fanno forti i populismi, non si sa se ancora in ascesa, ma afferrare e combattere la regressività delle loro risposte, la primordialità delle loro proposte, l’aridità menzognera delle loro culture. Non si fanno previsioni, né nomi, il giorno prima di un voto così incerto, così carico di emozioni che non si sa se riusciranno a diventare «ragione», si può solo dire che lo scenario di domani sera meriterà un ampio commento e che sarà importante vedere chi si misurerà con la leader del Front national difficilmente esclusa dal ballottaggio. Macron sembra portatore del discorso più europeista. Vedremo. Di sicuro si può dire che una sconfitta al ballottaggio della destra francese potrebbe costituire una frenata di tali dimensioni per i partiti e le culture-fratello in Europa, da formare una data che fa epoca.
Forse l’inizio di un declino anche se la ricostruzione di una idea di Europa presenta immani difficoltà. Un codicillo sull’Italia. Tutt’altro che un’aggiunta inutile, l’Italia essendo il terzo paese che deve far sentire la propria voce in Europa, tra i due che hanno avuto più influenza di lei, per molte ragioni che si possono anche comprendere. Ma oggi, se la Francia incomincia a riprendere il suo ruolo nell’Unione Europea, questa è la posta in gioco, l’Italia non può mancare all’appuntamento. Le cose sono particolarmente oscure e confuse nel nostro paese. Continuo a pensare che il 4 dicembre, data della sconfitta del referendum costituzionale, sia stata una data negativa per l’Italia, rischio incombente di ingovernabilità in un momento che può esser decisivo per la storia d’Europa.
O, in alternativa, possibilità di governo affidato a movimenti confusi, che parlano un linguaggio incolto, incerto sulle grandi scelte, insomma il rischio dell’antipolitica al governo dell’Italia.
Mi ha colpito un articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della sera di alcuni giorni fa dove si diceva: le elezioni del 2018 somiglieranno tanto a quelle del 1948, ci sarà da fare una scelta di campo, di scegliere, per l’Italia, un destino o un altro. Credo che sia proprio così. Non entro più di tanto nel merito, ma credo di aver detto con sufficiente chiarezza ciò che penso, registrando infine la sorpresa che l’allineamento ai Cinquestelle di un importante quotidiano cattolico al Movimento Cinquestelle, L’Avvenire, ha creato in tanti. Ma per ora pensiamo alla Francia, c’è già sufficiente carne a cuocere.