Forconi, quei masanielli d'Italia che ritornano sempre

Forconi, quei masanielli d'Italia che ritornano sempre
di Mario Ajello
Mercoledì 11 Dicembre 2013, 13:13
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I Masanielli d’Italia non sono l’Italia ma una delle sue facce. Nuove? Vecchie? Endemiche. Possono chiamarsi Forconi o Mucche Pazze (come nel caso dei padanisti delle quote latte). Possono essere pescatori come quelli che diedero l’assalto a Palazzo Chigi - dove c’era Monti, nel gennaio del 2012 - in lotta contro i regolamenti Ue sulla pesca e sobillati da Di Pietro oppure tassisti cavalcati dalla vecchia destra romana o pastori sardi sulle cui spalle hanno cercato di ergersi tutti e sono stati manganellati al porto di Civitavecchia non molto tempo fa. E c’è del masaniellismo anche nell’inestirpabile nevrosi da rivolta No-Tav, non tanto quella dei valligiani quanto quella degli anarco-insurrezionalisti e dei centri sociali che si fanno belli con i caschi in testa. Insomma il masaniellismo blocca-tutto - versione moderna e degenerata della rivolta napoletana del 1647 - rappresenta il dark side dell’autobiografia di una nazione. La nostra.



La rivolta anti-Palazzo, all’insegna del tanto peggio tanto meglio, spesso comincia contro il potere costituito accusato di affamare il popolo con tentativi riformisti come quelli di Letta, e poi - blandito dal Palazzo - cerca di esserne assimilato. Così accadde a Ciccio Franco, il celebre leader della rivolta di Reggio Calabria nel luglio del 70, che sarebbe diventato senatore del Msi. O come stava per capitare a Giuseppe Richici e a Martino Morsello, capipopolo dei camionisti sudisti ai tempi della rivolta anti-governo del 2012, che in tanti volevano candidare al grido: «Evviva il potere della gente!». Lo stesso Masaniello, il pescatore napoletano a cui tanti secoli dopo Pino Daniele ha dedicato una strofa perfetta e desolante: «Masaniello è turnato....» (e in effetti torna sempre), fu l’eroe del popolo contro le gabelle imposte dalla monarchia spagnola ma dopo una settimana venne accolto dal vicerè, riempito di onori, rivestito da capo a piedi come un nobilotto e insignito di una carica da film dei Monty Python: «Capitano della Repubblica del Regno di Napoli». I suoi seguaci, a quel punto, non poterono che sentirsi traditi e ucciderlo. E quel moto nell’Italia barocca in difesa dei consumi dei poveri, se prima fu percepito e non solo a Napoli ma in tutta l’Europa come «Un segno di libertà» (così s’intitola il nuovo libro di Rosario Villari che da 50 anni studia questa vicenda), poi fallì miseramente. La mente politica della rivolta di Masaniello fu Genoino. E dunque a chi si atteggiano, oggi, Berlusconi e Grillo? Uno dice che «il governo deve ricevere la delegazione dei Forconi e capire le sue ragioni». Anzi fa di più: oggi Silvio li riceverà lui stesso i trasportatori in lotta, nella sfarzosa sede di Forza Italia in piazza in Lucina. Grillo grilleggia e volendo bloccare tutto per buttare giù l’Italia dei «politici già morti» si mette a cavalcioni sulle barricate e sui tir fermi dei suoi nuovi eroi. Considerati, ai suoi occhi, più efficaci dei deputati grillini in cima ai tetti di Montecitorio. Non è meglio, pr dare la spallata al «sistema», sfruttare la rivolta dei Forconi? Non funziona meglio il forcone dell’apriscatole che doveva essere lo strumento pentastellato per aprire il Parlamento ma si è subito rivelato inutile alla bisogna?



GENOINI D’ITALIA

Berlusconi come Genoino. Grillo come Genoino. Mentre i Forconi, da un masaniellismo all’altro, possono somigliare ai sanfedisti, che risalirono la Penisola dalla Calabria fino a Napoli per mettere fine a un’esperienza riformista, quella della rivoluzione napoletana del 1799, mettendo a ferro e fuoco - «siamo i plebei del cardinale Ruffo», dicevano quei lazzari - la città e riportando indietro la politica nel sangue. Ma per ora il sangue manca, fortunatamente. Elementi di masaniellismo, in una vicenda però di altro livello civile, ebbero i Fasci siciliani. Anche se non c’è nulla da eccepire sulle nobili personalità di molti capi di quel movimento, autorevoli emblemi del nascente ideale socialista. Ma l’insieme mancò di organizzazione e fu così causa di una violenta restaurazione crispina e il tutto poi sarebbe sfociato nella crisi di fine ’800. Molto più pertinente - come precedente di masaniellismo di gran lunga più hard di quello attuale, che non è criminogeno - può essere quel variegato universo di banditi che ebbe il suo emblema in Salvatore Giuliano, colluso o collaterale all’autonomismo siciliano, nella sua versione non virtuosa e modernizzante ma arcaica e feudale. Caratteristica del masaniellismo è il profilo variegato dei suoi personaggi e interpreti. Nelle marce a favore dell’abusivismo edilizio - che hanno punteggiato la storia del Mezzogiorno - si sono sempre mescolate destra e sinistra. Anche adesso, nei Forconi, si confondono con i veri bisognosi i piromani di Forza Nuova e dei centri sociali, delle curve degli stadi, dei clan. E siamo al Vaffa che non si accontenta della parolaccia. Alla scoperta di un marchio, i Forconi, su cui si condensano le viscere di un Paese che politicamente non si sente più rappresentato anche perchè non sa produrre rappresentanza e la sostituisce con la rabbia. Mentre c’è chi - i Masanielli di Palazzo - o considerano questo ribellismo una sorta di ”elogio della follia”, che gli serve per preparare le prossime elezioni, o l’espediente a cui attaccarsi - Grillo - per nascondere con altra anti-politica il fallimento della propria anti-politica.



GLI ESITI

Stiamo comunque assistendo a una rivoluzione? Nei moti di Reggio Calabria, Cicco Franco gridò: «Questo è l’inizio della, rivoluzione italiana».
Quelli di Lotta Continua, anche loro laggiù insieme ai nemici ideologici, cantavano: «Reggio unita vincerà». Una sorta di anticipazione calabra di «el pueblo unido / jamas serà vencido» (motivo della rivoluzione dei garofani portoghese e della lotta anti-Pinochet). Ma poi, sempre, le rivolte finiscono male. Non sarebbe meglio pensarci prima?
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