Sgozzato per dispetto a 3 anni, giustizia per il piccolo Stefano: il padre condannato a 30 anni

Il piccolo Stefano portato via dalla casa in cui trovò la morte
Il piccolo Stefano portato via dalla casa in cui trovò la morte
Sabato 22 Aprile 2017, 20:46 - Ultimo agg. 24 Aprile, 18:47
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Definitiva la condanna a 30 anni di reclusione per il giovane padre che ammazzò con crudeltà il figlioletto Stefano di due anni ed otto mesi. La quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito le responsabilità di Gianpiero Mele, 32 anni, di Taurisano, in ordine all'accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla crudeltà.  
Si è dunque chiuso il processo su uno dei fatti di sangue più raccapriccianti consumati nel Salento. Successe tutto nel pomeriggio del 30 giugno del 2010, nella casa al mare di Torre San Giovanni dove papà e bimbo sarebbero dovuti andare in spiaggia ed invece quella casa si trasformò nel luogo di un massacro.

Respinto il ricorso  degli avvocati difensori Gabriella Mastrolia e Carlo Federico Grosso con cui avevano chiesto l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di Taranto di giugno dell'anno scorso.  Ed ora la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce dovrà decidere se e quale misura detentiva applicare all'imputato, dopo che il 7 aprile scorso erano scaduti i termini di custodia cautelare per via del doppio passaggio in Appello ed in Cassazione. 

La Cassazione  ad ottobre di due anni fa rimandò, infatti, il proceso in appello per riconsiderare  la sussistenza delle attenuanti generiche, nonché delle aggravanti dei futili motivi e della crudeltà. Fu un '"annullamento con rinvio", ma mise il sigillo sulle responsabilità dell'imputato e sulla capcità di intendere e di volere.

Mele ammazzò il bambino con modalità che fecero inorridire anche chi, come le forze dell'ordine, ilmagistrato di turno ed il medico legale, hanno sviluppato un grado di assuefazione alla morte violenta: impiccato con una corda ad una porta e sgozzato con un taglierino. Dal padre. Dalla persona da cui Stefano si aspettava solo protezione, attenzioni e premure. Il suo punto di riferimento, insieme alla mamma Angelica Bolognese. Papà Gianpiero in cui aveva quella fiducia senza pregiudizi, pura e sconfinata dei bambini che a quell'età identificano il mondo attraverso la loro famiglia. Quel giorno gli avrebbe dovuto spalmare la crema protettiva, preparare la merenda e i giochi prima di rimettersi in macchina per raggiungere il mare. Ma si trasformò in un mostro senza pietà, quel padre che pazzo non era, hanno detto i processi. N'è prova anche la sosta alla ferramenta della marina per comprare gli strumenti dello strazio, una circostanza per la quale il pubblico ministero Guglielmo Cataldi ravvisò la premeditazione poi esclusa dal giudice di primo grado.
 

 


 "Coscienza dell'atto" sostennero gli psichiatri forensi Domenico Suma ed Antonello Bellone, nominati nel processo di primo grado dal giudice per l'udienza preliminare Carlo Cazzella. La consapevolezza, cioè. Ed esclusero la follia, le turbe psichiche o altre patologie che avrebbero potuto compromettere il suo comportamento.

I consulenti spiegarono l'enormità del comportamento dell'imputato come una reazione al rapporto naufragato con la coniuge: "Non hai voluto salvarla questa famiglia. Hai voluto queste", scrisse Mele nella lettera lasciata in quella casa in cui tranciò di netto la vita del suo bimbo. Ed aggiunse di non volere quella vita e di volere portare il bambino con se'.

"Stefano Bolognese" c'era scritto sul manifesto fatto affiggere dalla madre nel primo anniversario della morte del suo bambino.
Angelica si è costituita parte civile con gli avvocati Alessandro Stomeo e Salvatore Centonze ottenendo una provvisionale di 100mila euro per se' ed anche per i nonni Roberto e Rosanna Manisco.

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