Fiamme sul Vesuvio,
la bellezza e l'offesa

Fiamme sul Vesuvio, la bellezza e l'offesa
di Giuseppe Montesano
Giovedì 13 Luglio 2017, 08:11 - Ultimo agg. 09:21
3 Minuti di Lettura
Avvolto da nuvole di fumi rosati, con in testa turbanti di fumi bianchi e immerso in volute barocche di fumi neri il Vesuvio sembra l’immagine del mondo come è stato in ere lontanissime: o forse il vulcano, immoto nella calura di un’estate insopportabile e sfregiato da una violenza malata di follia, è l’immagine vivente del futuro che ci aspetta. Le immagini degli incendi che gli appestati dal denaro hanno appiccato usando animali vivi per propagarle si sono imposte su tutti i media, con la forza fascinatoria che possiedono le figure che rappresentano l’orrenda bellezza sprigionata dal male, quella perversa attrattiva che ci fa contemplare l’orrore senza poterci staccare. 

Proprio quando non ci sono parole sufficienti, si ricorre alla forza dell'immagine: il vulcano con i boschi devastati dagli incendi dolosi che sembra il vulcano che esplode in una nuova eruzione. Un'icona? Che parola meschinamente insufficiente! L'immagine del Vesuvio in mezzo alle bufere ardenti non è un'icona, ma l'emergere da passati remotissimi di un animale immenso fatto di natura. Icona? Le icone sono giochetti e simulacri, e il Vesuvio, che dal mare scintillante o dalle città arroventate si scorge come un indecifrabile guardiano, non è un gingillo: quel vulcano è noi stessi. Lo vediamo di sfuggita ogni giorno inerpicandoci per un cavalcavia costruito male, ci assale maestoso sulle tangenziali insufficienti al traffico e sulle autostrade che ci promettono una fuga che non esiste: e non abbiamo bisogno di fissarlo per accorgerci che esiste, perché noi che viviamo qui quel vulcano lo sentiamo scorrere nelle nostre vene. Per secoli e millenni ha scandito il tempo umano, seppellendo intere città, e trasformandole in memoria minerale; spingendo uomini atterriti a portare in processione le loro divinità e a organizzare la vita sull'orlo della precarietà; e spaventando generazioni intere con i brontolii sordi di un animale preistorico e le esplosioni di una guerra di lave. Ma lo ha fatto come agivano gli dèi: semplicemente perché lui è così, secondo i flussi e i riflussi della natura.

È per questo che il Vesuvio ci affascina persino quando sembra promettere disastri: ma è sempre per questo che le immagini delle corde di fumi che lo strangolano oggi ci fanno rabbrividire. Oggi quei pennacchi e quelle volute sul Vesuvio non ci ricordano, con una lezione sempre necessaria per la tracotanza degli uomini, quanto siamo dipendenti dal regno naturale e quanto dobbiamo cercare di convivere con esso: no, non è questo che il Vesuvio ci ricorda oggi. Oggi i suoi fumi spettrali ma pesanti sono i segnali di miserabili esseri cosiddetti umani che distruggono la natura dei boschi e la cultura degli uomini, i creatori di deserti che vogliono portare la terra bruciata che hanno dentro le loro animucce nel mondo intero, e sono felici di arraffare i trenta denari che spettano ai traditori dell'umano. È per questo che dietro lo stupore che nonostante tutto la bellezza induce in noi come un'ipnosi, l'immagine di questo Vesuvio è l'apparizione di uno sfregio insensato. Ma l'offesa è per noi, non per il vulcano. Dalle spiagge scintillanti e dalle città africane come dal cemento suburbano e dalla quieta collina noi lo guardiamo, e non possiamo staccare l'occhio dal grande animale che dorme e sogna catastrofi: e lui resta là, come un'immagine che dobbiamo sempre interrogare, come dovremmo imparare a interrogare tutto il mondo del quale siamo ospiti per conoscere i responsi sul nostro futuro.

Oggi i responsi che il grande animale ci dà non sono benigni, e parlano di un futuro a cui la stupidità umana mozza le ali: parlano di un'assenza di futuro. Ma lui, il vulcano che è il nostro specchio, è là: e aspetta altre domande. Domandiamo ancora, e anche se le risposte non sono di nostro gradimento torniamo a domandare, perché ciò che la natura dice senza parole merita di essere ascoltato e decifrato: nel bene e nel male, nel sogno e nella realtà, nel sonno e nella veglia, il vecchio vulcano parla di noi, ancora e ancora.