Banche, il balletto senza copione

di Oscar Giannino
Sabato 24 Giugno 2017, 23:53 - Ultimo agg. 25 Giugno, 07:08
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Sulle due banche venete compromesse vedremo come e se il decreto atteso oggi dal governo riuscirà a dipanare l’ingente mole di problemi e rischi, legati al modo in cui siamo arrivati agli sviluppi di queste ore. Ed è da lì che bisogna partire. È stato perso più di un anno, ignorando che il protrarre situazioni di crisi bancaria ne aggrava la portata, produce perdita a fiotti di depositi degli istituti coinvolti, e ne ammazza il brand.

I regolatori italiani – Banca d’Italia e governo – sono impegnati dalla fine del 2015 in una contestazione frontale e radicale dei meccanismi di risoluzione bancaria dettati dalla direttiva comunitaria BRRD, approvata nel 2014: l’Italia votò a favore, c’è una sfilza di dichiarazioni dell’allora ministro Saccomanni già dal 2013 a comprovarlo. Ma alle autorità italiane quella direttiva non piace proprio: perché abbandona il principio che gli interventi sulle banche compromesse si facciano coi soldi dei contribuenti, e stabilisce invece che a rispondere di ciò che manca dopo la liquidazione degli attivi sia l’azzeramento dei soci, e a seguire in ordine di seniority, quello delle obbligazioni, a cominciare dalle subordinate, fino ai depositi oltre i 100mila euro. 

Puro buon senso, per evitare che crisi bancarie si sovrappongano a rischi sovrani. Ma non in Italia: perché da noi i regolatori hanno tenuto gli occhi chiusi sul massiccio ricorso bancario al canale di finanziamento rappresentato dalle obbligazioni subordinate, piazzate ai cosiddetti clienti retail, cioè ai privati cittadini, invece che a quelli istituzionali. Questi ultimi, consapevoli dei rischi a cui ci si esponeva sottoscrivendo quei titoli, avrebbero comportato per le banche italiane condizioni più onerose di finanziamento.

Questa premessa spiega perché sulle due venete si è ordito un balletto sfinente. Prima è stato fatto nascere il fondo Atlante, che ha bruciato nelle due banche 3,5 miliardi, e dacché doveva risolvere tutto il problema dei cosiddetti NPL (mutui, finanziamenti e prestiti che i debitori non riescono a pagare regolarmente) delle banche compromesse, oggi è corto di cassa e faticherà pure a rilevare i soli crediti deteriorati del Montepaschi. Poi è stato detto che le due venete erano solvibili ma sistemiche, dunque rientravano nella fattispecie dell’aumento di capitale precauzionale a intervento anche di Stato previsto dalla direttiva europea. 

Ma poiché prima ancora si era detto che le due banche si sarebbero fuse e quotate, la vigilanza europea ha obiettato che no, non si erano ancora fuse, e soprattutto occorreva più capitale privato. Poca roba, 1 miliardo e 200 milioni: che nessun intermediario italiano ha voluto mettere, vista la malaparata di Atlante, e visto che l’esperienza delle quattro banche risolte a fine 2015 è che le good bank hanno continuato a produrre nel tempo altri crediti deteriorati per centinaia di milioni, segno che la pulizia fatta dal regolatore non era stata certosina. Ed ecco che alla fine, venerdì sera, con i comunicati della BCE e dell’autorità di risoluzione della vigilanza europea, le due venete vengono dichiarate né solvibili né sistemiche, l’esatto opposto di quanto sostenuto dai regolatori italiani: e non essendo solvibili, niente più aumento di capitale precauzionale di Stato, e non essendo sistemiche non c’è neanche bisogno di mandarle in risoluzione secondo i criteri europei, bensì si può seguire la procedura di liquidazione prevista dal Testo Unico bancario italiano.

Esultanza di Bankitalia e del Ministero dell’Economia, visto che apparentemente la battaglia contro l’odiato bail in è vinta? No, al contrario enormi preoccupazioni, e grandi problemi da risolvere col decreto di oggi. Per almeno tre ragioni. La prima è che, se si segue quanto prescrive il Testo unico bancario per la liquidazione coatta amministrativa, l’impatto finanziario privato e pubblico è – al contrario di quanto sostenuto sin qui dai regolatori italiani – molto più rilevante che se avessimo applicato il «bail in», e cioè toccato, se necessario, anche le obbligazioni senior, il tabù intoccabile per i regolatori italiani. Se si segue infatti la liquidazione coatta amministrativa, il Fondo Tutela e Garanzia dovrebbe lui rimborsare in tempi rapidi la parte dei 23,8 miliardi di depositi delle due venete non eccedenti i 100mila euro a conto, per poi diventare creditore della liquidazione, e aspettare per il rientro la liquidazione degli asset delle due banche. Senonché il Fondo Tutela Depositi esce dalle tasche delle banche che sono già esauste dei continui appelli a farsi carico delle perdite di quelle scassate, ed è già stato impegnato per anni di versamenti con gli interventi sin qui fatti nelle 4 banche risolte a fine 2015 e in altre minori.

La seconda ragione è che a venerdì sera si è arrivati avendo sul tavolo la disponibilità all’intervento di Banca Intesa; ma è una disponibilità che anch’essa fa a pugni con l’iter di una liquidazione coatta. Banca Intesa è disposta a rilevare asset buoni delle due venete, una parte dei dipendenti e delle filiali (ci sono problemi evidenti di eccesso di concentrazione in Veneto), ma non vuole assolutamente non solo i crediti deteriorati, ma l’intera filiera di incagli e sofferenze. Anche sui crediti buoni incamerati, non è disposta a mettere capitale aggiuntivo proprio. Ci dovrebbe pensare lo Stato, a materializzare a questo scopo 3-4 miliardi di capitale per Intesa, attraverso crediti fiscali. E a questi 3-4 miliardi lo Stato dovrebbe aggiungere 8-10 miliardi di capitale da iniettare per equilibrare al passivo gli attivi marci, in attesa che la liquidazione a prezzi di mercato ceda fetta dopo fetta la mole di incagli, sofferenze e deteriorati.

Se sommate i miliardi chiesti alle banche per rimborsare i depositanti attraverso il Fondo di Garanzia, e questi che dovrebbe sborsare lo Stato, cioè il contribuente, siamo a una cifra così multipla dei senior che non si vogliono toccare da farci sembrare matti davanti all’intero mondo.

Ed ecco il terzo problema: si tratta allora di scrivere un decreto che in realtà innovi le stesse norme del Testo unico bancario sulla liquidazione coatta, e che consenta la cessione di rami d’azienda e asset a Intesa ma senza incorrere nella bocciatura per aiuti di Stato da parte della Commissione, senza immaginare l’intervento del Fondo di Garanzia per non far insorgere tutte le banche, abolendo ogni procedura di gara per la cessione degli asset al miglior prezzo, visto che Intesa ha detto lei quali vuole per un solo euro. E in più ribadendo anche che, comunque vada poi la cessione degli attivi, in ogni caso non si toccheranno i senior e si azzereranno all’inizio solo azioni e obbligazioni junior. Su ciascuna di queste scelte, il rischio di bocciatura esiste, come sussiste il rischio di accendere il fuoco dei mercati contro l’Italia per manifesta sprovvedutezza.

Fermiamoci qui. La nostra ricostruzione ovviamente non è condivisa dai regolatori. Ma sono gli stessi che hanno detto che le banche itaiane erano sane, poi che era l’Europa a rendere complicato intervenire su quelle che sane non erano, e che le venete erano solvibili, e che erano sistemiche. Abbiate pazienza, ma il compito di chi fa informazione è spiegare al contribuente che, se preferiscono che paghi lui, meglio provare a spiegargli quanto chi lo vuol far pagare tende a non dirgli.
 
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