Il congiuntivo speriamo che se la cava

di Francesco Durante
Martedì 13 Dicembre 2016, 08:20 - Ultimo agg. 08:21
3 Minuti di Lettura
Al professor Francesco Sabatini gli piace pensare che la lingua italiana non è una cosa immutabile, e che per difenderla non c’è bisogno di fare gli schizzinosi o di farsi pigliare da «psicodrammi» come la solita difesa del congiuntivo, oppure la lotta contro gli anacoluti, i pleonasmi, le frasi segmentate, contro i pronomi «lui» e «lei» usati anche come soggetti e contro lo «gli» polivalente, usato cioè anche per il plurale e il femminile. Ora io speriamo che lo psicodramma non c’è, anche se l’anacoluto ne parlano tutti male, e se è per questo anche il pleonasmo. Lui, però, gli sembra che non è un vero problema, questo.

Dopotutto, è il parlato, la lingua viva degli italiani. Che, fin da quando è nata, la innovano di continuo, gli italiani, e giustamente gli pare che va bene così: l'importante è capirsi e comunicare. Io però, leggendo l'intervista che Sabatini gli ha concesso a Paolo Di Stefano del «Corriere della Sera», mi è venuto qualche dubbio. Leggevo e dicevo tra me e me che sì, tutto sommato il professore le sue ragioni ce le aveva; e del resto anch'io, senza essere mai stato presidente dell'Accademia della Crusca né aver mai scritto un libro come il suo, appena uscito, che si intitola «Lezione di italiano» (Mondadori), ero uno di quelli che queste cose le sosteneva da tempo. Sabatini tuttavia, se proprio devo dirla tutta, ho avuto l'impressione che stava esagerando un poco. Per cui ci ho pensato, e sono arrivato alla conclusione che io, per quanto mi riguarda, al congiuntivo non ci voglio rinunciare.

Perché, vedete, non è che possiamo pensare che il congiuntivo è un'invenzione aristocratica che appartiene al passato e fa a cazzotti col presente. Non è che siccome in inglese, in francese e in spagnolo non lo si usa più anche noi italiani si deve fare altrettanto, anzi: proprio perché ce l'abbiamo ancora, credo che è giusto tenercelo stretto, e non dubitare che è un tratto distintivo della nostra identità culturale. Un po' come la prospettiva di Piero della Francesca o la ricetta della mozzarella di bufala, insomma: una di quelle cose che vale la pena di essere tutelata. Per cui adesso, dopo tutta questa sfilza di anacoluti e pleonasmi e altre amenità che ho voluto ficcarci dentro, forse è il caso che a questo articolo ci rimetto mano e almeno i congiuntivi li ripristino.

(Comunque, meno male che Sabatini, alla fine dell'intervista, afferma che ci sono cose che perfino un «liberale» come lui non potrebbe mai ammettere nella nostra bella lingua: tra queste, il famigerato «piuttosto che» disgiuntivo al posto di «oppure», o certi spaventosi anglismi del cavolo, tipo «location» o peggio mi sento «endorsare». O, ancora, quello che a me mi piacerebbe chiamare «transitivo alla napoletana», per esempio: «lo telefono» o «la telefono». Anche se devo dire che se lo sento, un costrutto del genere, non mi fa veramente orrore: temo che, anzi, mi fa addirittura un pochino di tenerezza.)