Il contrappasso
dell’antipolitica

di Mauro Calise
Martedì 18 Ottobre 2016, 23:29 - Ultimo agg. 19 Ottobre, 09:25
4 Minuti di Lettura
Stavolta pare che Grillo e Casaleggio siano riusciti, anche se a fatica, a mettere il silenziatore alla rivolta contro il leaderismo esplosa nella base grillina. E che aveva trovato un pretesto – ghiotto quanto bigotto – nei quattrini che Di Maio avrebbe speso, senza peraltro – sembrerebbe – abbondare negli scontrini. Lasciamo pure al popolo del web – che poi, intendiamoci, sono qualche migliaio di stakanovisti del tweet, una cyberelite del dileggio – il dibattito se siano molto o pochi centomila euro, in tre anni, di spese di rappresentanza.

Per uno che ricoprirebbe in pectore – almeno stando all’investitura del Guru – la carica di aspirante premier, la cifra non sembrerebbe stratosferica. A meno che non si pretenda che giri per l’Europa in bicicletta, dorma preferibilmente in un ostello e si nutra soltanto di hamburger (o, a Napoli, di pizza Margherita). Il che, peraltro, non lo aiuterebbe a conservarsi bene in salute. Anche i politici, come noi mortali, se lavorano indefessamente – come Di Maio, per la verità, fa da tempo – hanno bisogno di qualche riguardo. Altrimenti gli vengono le occhiaie (che sono poco telegeniche), mettono su rapidamente la pancetta e si appisolano durante i convegni. Insomma, siamo seri.

Nessuno si farebbe togliere l’appendicite da un chirurgo tenuto a stecchetto dalla moglie, e con due o tre nottate sulle spalle. Perché mai dovremmo augurarci che i politici cui spetta prendere decisioni di importanza strategica per la salute – fisica, economica e morale – di tutto il paese debbano farsi i conti in tasca se prendere un taxi o un autobus? Insomma, a Luigi Di Maio va la solidarietà di tutti coloro che riescono ancora a distinguere il carico delle responsabilità istituzionali dal peso delle buone intenzioni, spesso solamente a parole. Ciò premesso, due considerazioni sarebbe il caso di aggiungerle. La prima – dal sen fuggita – è che Di Maio se l’è cercata. L’aforisma di Pietro Nenni dovrebbe, da oggi, diventare il motto dei Cinquestelle: «A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura».

Per queste forche caudine son passati tutti i moralizzatori saliti, grazie alle proprie filippiche, alle stelle. E, prima o poi, precipitati nelle stalle. Ma – almeno per il momento - è inutile farsi illusioni. Il movimento deve gran parte dei suoi successi alla propaganda spicciola sull’uso maldestro degli spiccioli. E se qualcuno dei capifila sta facendo – finalmente – i conti (sic!) con la realtà, le retrovie restano gremite di webuntori rancorosi. Che passeranno nottate intere a discettare se Di Maio ha esagerato nel rendiconto del comizio in Sicilia, o in quello del brainstorming a Bruxelles. Il vicepresidente della Camera, e prospettico presidente del Consiglio, è incappato nel ventilatore che lui stesso aveva attivato. E se, con un intervento dall’alto, Grillo è oggi riuscito a dargli una mano, il venticello della calunnia – temo - continuerà a soffiare.

In attesa di una nuova occasione perché lo zefiro si trasformi in tifone. Anche perché – ed è il secondo aspetto da monitorare – il problema degli esborsi di Di Maio non sembrerebbe riguardare tanto l’eccedenza della spesa, quanto la carenza di documentazione. Pare, a guardare le carte – anzi, le cartuscelle – che le note spese non siano come quelle di un dipendente aziendale (puntuali ricevute fiscali, bollette formalmente perfette, addizionate allo zerovirgola). Ma rassomiglino, piuttosto, al promemoria di un superdirigente. Che riporta, vuoto per pieno, la somma indicativa che ha speso. Assumendosene, sulla parola, la responsabilità. Ora, vista la carica di primissimo piano che occupa, a Di Maio spetterebbe senza dubbio questo tipo di trattamento.

D’altronde, come ci si potrebbe fidare – come fanno i suoi elettori – della sua capacità di decidere su questioni così rilevanti, come fa dieci volte al giorno, e diffidare della sua buonafede quando afferma quanto gli è costata la costata o la crostata? Peccato che, nella propaganda grillina, uno – si dice ancora così? – vale uno.
Come si è visto nel trattamento riservato allo scontrino galeotto dell’ex-sindaco Marino. Quanto vale, esattamente, Di Maio? Alla fine, le lezioni più difficili da imparare sono le più amare. È augurabile che il leader grillino ne faccia tesoro, a proprie spese. Distinguere tra moralità e banalità è un fondamento della convivenza democratica. Altrimenti – senza scomodare Annah Arendt – il banale può facilmente trasformarsi nell’anticamera del male.
© RIPRODUZIONE RISERVATA