«Olimpiadi, modello Barcellona 92
per conquistare i giochi a Napoli»

Competizione dei tuffi alle Olimpiadi di Barcellona
Competizione dei tuffi alle Olimpiadi di Barcellona
di Paola Del Vecchio
Giovedì 20 Luglio 2017, 17:46
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Madrid. Olimpiadi a Napoli, guardando al trionfo di Barcellona 1992. Era il 25 luglio e, 25 anni dopo, la città di Gaudí ancora celebra “la manna olimpica” che la trasformò urbanisticamente, l’aprì al mare con la Barceloneta, rigenerò interi quartieri, ma soprattutto la collocò nella mappa globale, facendone una destinazione desiderata a livello universale. Non solo i 34 miliardi di euro di impatto economico totale stimati dal rapporto del Centro di Studi Olimpici dell’Università di Barcellona. Quello qualitativo è stato enormemente superiore e continuo da allora, come attesta uno studio di Heartley & Baker, che situa  la metropoli catalana in maniera permanente in posizione di leadership nel ‘top 10’ europeo come urbe preferita per gli affari, quando prima del ’92 era fuori classifica. Basti guardare al World Mobile Congress o alla solida candidatura per ospitare l’Agenzia europea dei farmaci, che lascerà Londra dopo la Brexit. Per non parlare dei 7,5 milioni di turisti annui e della rivoluzione che quell’estate gloriosa comportò nello sport spagnolo, che in una sola edizione conquistò 22 medaglie, quasi pari alle 27 fino allora sommate nelle 15 precedenti partecipazioni olimpiche. Uno spartiacque che lanciò la Spagna sulla ribalta sportiva mondiale.

Un quarto di secolo dopo, gli artefici dell’Olimpic Dream sono ancora increduli del successo di un progetto che, fino al momento di accendere la fiaccola olimpica, appariva come una ‘mission impossible’. «Barcellona 92 fu un orgoglio di tutti e il prodotto di uno sforzo collettivo dei barcellonesi, senza il quale le Olimpiadi non ci sarebbero state», assicura in dichiarazioni a El Periodico José Miquel Abad, amministratore delegato del comitato organizzatore COOB 92, incaricato dal vicepresidente del COI, Antonio Samaranch, e dall’allora sindaco Pasqual Maragall, i due ‘visionari’ della sfida olimpica. «Dal punto di vista personale, professionale e cittadino, non c’è nulla come organizzare le Olimpiadi», giura Abad. «Io ho vissuto questo privilegio e sono felice di averlo condiviso con tanta gente, perché riuscimmo a realizzare quanto ci proponemmo e andò bene. Ma, se fosse andata male, sarei rimasto gli ultimi 25 anni nascosto in Amazzonia».

In primis fu la candidatura, «un progetto emblematico in un momento politico e sociale del quale «Barcellona aveva bisogno per ristrutturarsi». Un sogno rispetto al quale «il sindaco Maragall non venne meno in nessun momento», ricorda il manager. Purtroppo oggi, lo storico leader socialista catalano, ammalato di Alzheimer, è l’unico dell’Olimpic Dream a non poter celebrare quell’esito, come fa invece il resto della Spagna in questi giorni. Ma José Miquel Abad ci tiene a evidenziare il suo ruolo decisivo: «Pasqual fece da scudo insormontabile ai molti tentativi di destabilizzare il comitato organizzativo e di rompere un meccanismo operativo ben oleato. Ci ha protetti da tutto e tutti, soprattutto dai politici», rileva l’ex amministratore delegato.

La chiave del successo? «Uno slogan innegoziabile: i Giochi al servizio della città e mai viceversa. Non abbiamo mai ingannato il COI né i cittadini. Era vitale per tutti che fosse chiaro che dovevano essere Olimpiadi per la gente e non una superstruttura per un’immensa messa in scena o una liturgia aliena. Quando proclamavamo che Barcellona aveva bisogno di una leva per trasformarsi, era la verità, non una frase pubblicitaria, vuota e creativa», ricorda ancora José Miquel Abad. Samaranch capì che poteva essere il fattore decisivo per la candidatura, che fece sua: «La vincemmo perché il COI fu attratto dall’idea che avevamo bisogno di loro per cambiare la città», sottolinea.

Tuttavia, l’elemento differenziale fu la complicità dei barcellonesi. «Con i Giochi emerse l’incredibile potenziale sommerso della città»,  rileva da parte sua Miguel Botella, direttore del  masterplan delle Olimpiadi. «Abbiamo avuto molta fortuna, ma è stata una sorte molto cercata, perseguita con tanto lavoro, preparazione e l’aiuto di migliaia di persone», commentano cinque dei massimi dirigenti che hanno collaborato con Abad e Botella in quegli anni. Un coinvolgimento che attribuiscono all’empatia con il progetto, difficilmente imitabile: «Non tutte le città sono come Barcellona, né i loro cittadini come i barcellonesi», che mantengono sempre gli impegni, osserva Botella. «Senza questa complicità, l’organizzazione è venduta, perché il calendario galoppa, i problemi si accumulano, i preventivi schizzano alle stelle e si complica tutto». Un esempio della mobilitazione dell’orgoglio catalano quello degli imprenditori: «Siamo arrivati ad avere 405 imprese appaltatrici ed è evidente che sulla carta va tutto bene, ma quando arrivi alle installazioni, sono tutti problemi. Se avessero voluto, gli imprenditori ci potevano spellare vivi, avrebbero potuto reclamare, presentare querele, cavarci anche gli occhi. Invece cosa fecero? Andarono avanti col lavoro, con il loro sforzo, con l’empatia e la complicità», assicura Botella.

Peraltro nel 1992, non potendo contare sull’aiuto di Internet, l’esito fu un’incognita fino all’ultimo momento. «Mentre lavoravamo non potevamo immaginare un simile successo e quello che poi ha comportato per la città era francamente impensabile», osserva l’ex manager del masterplan. «Prima delle Olimpiadi era carissimo venire a Barcellona da qualunque parte del mondo, soprattutto dagli Stati Uniti e dal Giappone. Dopo i Giochi ci fu il boom delle compagnie aeree low cost e 500 milioni di europei scoprirono che Barcellona era solo a un pugno di euro».  E che la città di Gaudí non era solo la Sagrada Familia, che svettava come l’immagine icona assieme a Cobi, la mascotte dei Giochi Olimpici disegnata da Javier Mariscal, che il Coi considera tuttoggi la più redditizia delle Olimpiadi dopo Misha, proposta a Mosca nel 1980.
 
 
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