Inquinamento, la giungla
dei test anti-veleni

Inquinamento, la giungla dei test anti-veleni
di Francesco Pacifico
Venerdì 13 Gennaio 2017, 08:19 - Ultimo agg. 08:21
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Sergio Marchionne ha prima ribadito di «avere la coscienza pulita». Poi, con la diplomazia che lo contraddistingue, ha smentito facili paralleli: «Chi fa paragoni con Volkswagen fuma qualcosa di illegale». Fatto sta che ventiquattr'ore prima la casa di Wolfsburg aveva accettato di pagare 4,3 miliardi di dollari per chiudere il Dieselgate. E ventiquattr'ore dopo ecco l'Epa, l'Agenzia per la Protezione Ambientale americana, accusare FiatChrysler di aver usato un software per aggirare i test sulle emissioni delle vetture a gasolio. Proprio come i tedeschi. E come loro gli italiani adesso rischiano la stessa salatissima multa.

Secondo l'Epa gli italiani hanno installato nella centralina delle loro auto un dispositivo che fa spegnere l'auto, ogni qualvolta si accorge sia che la vettura è sottoposta ai test di controllo sia quando gli scarichi superano il livello consentito. Le regole Euro 6 impongono per i diesel emissioni di ossidi di azoto pari a 0,08 g/km (contro lo 0,18 g/km delle Euro 5). Per farlo le auto devono installare un evoluto filtro, che non solo aumenta i consumi in fase di contenimento degli inquinanti, ma sui modelli più grandi s'impone anche l'uso di una tecnologia più complessa Scr, selective catalist reduction molto più costosa. Ma non è soltanto una questione di costi a monte (per il costruttore) o a valle (ogni volta che si fa il pieno): i motori a gasolio pagano il peccato originale di essere troppo lenti per la richiesta degli automobilisti. Risultato? Ogni volta che si accelera, le emissioni arrivano a superare di 40 volte i limiti consentiti.

Le disposizioni sugli inquinanti, almeno in teoria, sono stringenti in tutto il mondo. Ma in pratica cambia la rigidità dei test. In Europa, per esempio, si fanno soltanto in laboratorio, in America anche in strada. L'Epa poi ha stabilito cinque modalità differenti (città, autostrada, alta velocità, con aria condizionata accesa e a basse temperature). Nel Vecchio Continente invece si usa ancora ciclo di omologazione, il Nedc (New european driving cicle), ideato negli anni Settanta e aggiornato per l'ultima volta nel 1997. Soprattutto si valutano tre cicli (urbano, extraurbano e misto) e non l'impatto causato dalla pressione dei pneumatici, extra fluidi al posto dell'olio motore e i circuiti secondari.
Dal 2017 anche l'Europa inizierà a fare test in strada. Ma le norme che la Ue si è data dopo il Dieselgate sono state più blande del previsto: per esempio nella fase transitoria si potrà eccedere il limite di emissioni di ossido di azoto. Ma già oggi la discrezionalità degli esami (la Commissione europea ha ammesso un divario tra le prove in vitro e quelle in strada anche del 400 per cento) potrebbe essere sufficiente per spiegare perché una Volkswagen o una Fiat in America inquinano e da noi sono in regola. Al riguardo l'inchiesta voluta dal ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, per rispondere alle eccezioni in sede europea (ma indirettamente anche alle accuse lanciate dalla Germania contro Fca) ha sostenuto che su quindici modelli testati nessuno aveva in dotazione centraline per falsare i controlli. Tutti, però, erano soggetti a emissioni eccessive. Agli stessi risultati è arrivata un'inchiesta voluta in Francia dal ministro dell'Ambiente e dell'Energia, Ségolène Royal.

Il Dieselgate non è nuovo, va avanti da quasi due anni e non riguarda soltanto i due gruppi citati (ci sono 28 modelli di sei diverse case). Fca, almeno stando alle accuse di alcune associazioni ambientaliste, è subito finita nel tritacarne. Anche il governo tedesco ha aperto un contenzioso con la casa. Ma, per certi aspetti, la vicenda esula anche da quanto contestato dalle autorità americane ad Auburn Hills: cioè circa 104.000 vetture, per lo più Jeep Grand Cherokee e Dodge Ram con motore 3 litri diesel. Per ognuna di queste auto rischia di pagare una multa da 44.539 dollari, senza contare gli altri risarcimenti legali, le ripercussioni sul marchio e sulla capitalizzazione borsistica. Ieri, lo stesso titolo che secondo Goldman Sachs nei prossimi mesi dovrebbe schizzare da 10 a 16 euro, ha perso il 18 per cento in una seduta. Ma soprattutto quest'accusa arriva nel momento nel quale Donald Trump ringrazia pubblicamente Marchionne per l'investimento da un miliardo in America in grado di creare duemila posti di lavoro e il manager con il pullover nero fa intendere di avere un mezzo via libera della nuova presidenza per una fusione con General Motors. Intanto si estende la distanza tra l'America obamiana che ha puntato tutto sui motori ibridi (mandando in pensione i diesel) e l'Europa che ha continuato a considerare questa motorizzazione come un'utile alternativa a quelle a benzina. Una differenza che ha finito per rallentare anche lo sviluppo tecnologico del gruppo FiatChrysler.