«La corruzione come la mafia
difendo i magistrati di Roma»

«La corruzione come la mafia difendo i magistrati di Roma»
di Francesco Pacifico
Domenica 23 Luglio 2017, 10:01 - Ultimo agg. 20:14
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Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, la sentenza su Mondo di mezzo non smentisce chi, come lei, vuole estendere gli strumenti della lotta alla mafia alla corruzione?
«Al contrario. Se il riferimento è al Codice antimafia, ne rafforza i principi cardine. I giudici hanno confermato che c'era un'associazione dedita alla corruzione, usando violenza e intimidazione».
Un conto è la mafia, altro è la corruzione.
«Io sono convinto che la corruzione sia uno strumento tipicamente mafioso. E va combattuta con gli strumenti con i quali si contrasta la mafia. Come la confisca dei patrimoni sproporzionati ai redditi e dei quali l'indiziato non si riesce a dimostrare la legittima provenienza».
Così limitate le garanzie degli imputati?
«Non è vero. Intanto il Codice antimafia già prevede un sistema di garanzie, rafforzate nelle modifiche normative proposte. Poi vorrei ricordare che fu io il primo a dire che era una sciocchezza applicare le misure di prevenzione patrimoniale a tutti gli indiziati di corruzione. Proposi di applicare il provvedimento soltanto agli accusati di associazione per delinquere, anche non mafiosa ma pericolosa perché dedita alla corruzione».
Era giusto contestare l'associazione mafiosa a Carminati & Co.?
«L'articolo 416 bis si caratterizza rispetto alla semplice associazione per delinquere per il metodo mafioso. Questo ricorre quando gli affiliati si avvalgono del vincolo associativo, che determina una condizione di assoggettamento e di omertà sia da parte degli stessi affiliati sia da parte di soggetti esterni, per commettere delitti che riguardano anche rapporti con l'economia e con tutte le sfere di potere così da conseguire profitti illeciti. Questa precisazione è importante per andare al cuore dell'inchiesta mafia-capitale: la condizione di assoggettamento nasceva dalla consapevolezza diffusa dell'esistenza di un gruppo che con i mezzi illeciti (dalla violenza intimidatoria fino alla corruzione sistematica) conseguiva i propri fini di ricchezza e potere. In questo contesto c'era chi si sottometteva e chi provava ad approfittarne. Ed è questo che ha detto in due magistrali sentenze la Corte di Cassazione sugli indagati di mafia capitale».
Concorda con la Procura?
«Assolutamente sì. La Cassazione ha detto che quell'associazione usava la corruzione per entrare nel sistema degli appalti e l'intimidazione come riserva a garanzia dei patti corruttivi. Con il risultato che gli imprenditori onesti non partecipavano agli appalti per paura di subire minacce e per la certezza di essere esclusi. Dalla Procura abbiamo avuto un'interpretazione del 416 bis che applica questa giurisprudenza della Cassazione e che qualificava quelli accertati come fatti di mafia».
Il Tribunale la pensa diversamente.
«Intanto aspettiamo le motivazioni e soprattutto usciamo dalla logica di vincitori e vinti. Vincitrice è la giustizia, visto che la Procura ha fatto egregiamente il suo lavoro e il Tribunale ha definito un processo complesso in tempi ragionevoli».
L'accusa è stata stravolta?
«No, il Tribunale, applicando pene molto severe, ha riconosciuto l'esistenza di una struttura molto pericolosa, dedita alla corruzione, alla manipolazione degli appalti, all'accaparramento dei centri di accoglienza. Ma ha sancito che non è mafiosa. Con la motivazione capiremo se i giudici hanno ritenuto che questa forma di criminalità non possa essere qualificata come mafiosa oppure se le prove raccolte non sono state sufficienti per tale qualificazione giuridica».

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