Le parole tardive e scomode
ma doverose

di Alessandro Campi
Sabato 29 Aprile 2017, 23:46 - Ultimo agg. 30 Aprile, 10:31
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Accusato da Berlusconi, a suo tempo, di non avere il quid necessario al comando, Angelino Alfano ha ieri dimostrato quanto meno di avere del coraggio. O comunque di avere la forza sufficiente per esprimere, sul tema nelle Ong che operano nel Mediterraneo a sostegno degli immigranti in viaggio verso l’Italia, un’idea particolarmente dissonante rispetto a quella ufficiale del governo del quale è membro.

Alfano ha dichiarato di stare, «al cento per cento», dalla parte del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, che nei giorni scorsi ha sollevato il dubbio che alcune Ong possano essere in combutta con le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di essere umani. E che per questo si è beccato un coro unanime di critiche: dal Vaticano al mondo del volontariato, dalla sinistra in tutte le sue espressioni alle massime cariche dello Stato, oltre alla censura ufficiale che gli è arrivata (con un eccesso di solerzia che sarebbe stato gradito anche in altre occasioni similari) direttamente dal ministro della giustizia, Andrea Orlando.

Quest’ultimo ha avuto gioco facile nel ribattere ad Alfano che il suo irrigidimento e la sua denuncia suonano in effetti piuttosto tardive, essendo egli stato per anni responsabile degli Interni. Ma forse è peggiore l’ipocrisia pelosa, ammantata di buoni sentimenti e belle parole, con cui l’intera materia viene trattata da anni e alla quale lo stesso Orlando non sembra sfuggire.

L’impressione è che Di Maio, denunciando quella dei salvataggi nel Mediterraneo come un’industria privata sospetta, si sia limitato a dire prima di altri, come nella fiaba, che il «re è nudo». E che lo abbia fatto per convenienza elettorale è davvero un non-argomento, visto che si vorrebbe capire quale politico non parli e agisca, a sua volta, mosso da un tornaconto in senso lato politico. Che i salvataggi dei naufraghi, un atto umanitario imposto dalle stesse leggi del mare, fossero diventati col tempo un’altra cosa, vale a dire trasporti organizzati di massa gestiti fuori da qualunque politica dell’immigrazione minimamente organica, questo stesso giornale già nel 2013 lo ha scritto a più riprese, arrivando a sollevare dubbi anche sul ruolo improprio che era stato assegnato dal governo alla nostra Marina Militare. 

Quanto ai dubbi sul fatto che le Ong dispongano di mezzi e risorse finanziarie la cui provenienza non è sempre chiara e che quello dei salvataggi si sia trasformato in un business gestito non sempre in modo trasparente (esattamente come è accaduto con le politiche di accoglienza, fonti a loro volta di scandali), essi circolavano da tempo anche se nessuno aveva il coraggio di esprimerli a voce alta. Alla fine il coro del consenso è stato spezzato (da ultimo anche da Alfano) e si spera che, invece di trincerarsi dietro lo spirito di indignazione, come molti stanno facendo in queste ore, se ne approfitti per fare il massimo della chiarezza.

Il rischio, si dice, è quello di criminalizzare – peraltro senza prove, limitandosi alle insinuazioni – chi quotidianamente si impegna per salvare vite umane, per puro spirito di dedizione e altruismo, supplendo la latitanza (e dunque la mancanza di senso di responsabilità) degli Stati. Dopo che l’Italia ha sospeso l’operazione Mare Nostrum, che si occupava esplicitamente del salvataggio dei naufraghi, e dopo che l’Europa l’ha sostituita con una missione di semplice pattugliamento delle frontiere marine, ad occuparsi di chi rischia di annegare sono rimaste solo le associazioni umanitarie con i loro navigli. Come si può criticarle per l’encomiabile lavoro che svolgono?
In parte ciò risponde al vero. C’è in effetti un imbarazzante (e colpevole) vuoto di iniziativa politica sul tema immigrazione da parte dell’Europa. Ma non si può nemmeno negare – ecco ove si annida l’ipocrisia – che la presenza nelle acque del Mediterraneo di così tante Ong, che agiscono senza alcun coordinamento superiore e spesso senza rispettare alcuna regola d’ingaggio, abbia creato una situazione che «oggettivamente» rappresenta un incentivo al traffico verso l’Europa di immigrati clandestini (una minoranza dei quali sono realmente profughi o potenziali richiedenti asilo). L’aumento delle partenze e degli sbarchi negli ultimi due anni lo dimostra chiaramente.
Si è ormai creata, anche senza ammettere complicità e connivenza tra gli scafisti e i volontari, come una sorta di filiera, delle quali le Ong impegnate nei soccorsi sono ormai parte integrante, che di fatto sempre più facilita il trasferimento dalle coste della Libia a quelle dell’Italia. Organizzazioni criminali e scafisti ormai sanno benissimo che chi viene fatto partire verrà preso in carico, magari appena oltre le acque libiche se non già all’interno di queste ultime, da una qualche nave umanitaria, per essere poi trasferito sulle coste italiane insieme ai suoi compagni di viaggio. E dunque se ne approfittano allegramente.

Nulla di male, in tutto questo, se abbiamo deciso che favorire in ogni modo i flussi dall’Africa verso Italia sia ormai la nostra politica immigratoria ufficiale. Ma allora si dovrebbe avere il coraggio di dirlo assumendosene tutte le responsabilità, senza lasciare che siano una decina di Ong straniere a fare, in modo indiretto e surrettizio, la nostra politica estera, a gestire le nostre frontiere marine e terrestri e a decidere quante persone debbano entrare nel nostro Paese.

Se così invece non è bisogna allora smetterla con la retorica umanitaria finalizzata a tacitare e screditare, sul piano morale prima che politico, chiunque osi avanzare critiche o dubbi sul cattivo modo col quale l’Italia – certo anche per colpa dell’ottusità dell’Europa – sta affrontando il fenomeno migratorio.
 
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