«Libia-Italia, primo passo
ma serve un accordo vero»

«Libia-Italia, primo passo ma serve un accordo vero»
di Valentino Di Giacomo
Sabato 11 Febbraio 2017, 08:21
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«Sul patto tra Libia e Italia per il controllo dei migranti si è scatenato un grande equivoco, non so se intenzionalmente o meno. Quello firmato dai nostri due Paesi è semplicemente un memorandum d'intesa che non ha ancora assunto il carattere di un accordo vero e proprio». Ahmed Elmaburk Safar è l'ambasciatore libico in Italia per il governo di unità nazionale guidato da Sarraj che però ancora non riesce a rappresentare l'intero Paese: non ha ottenuto il riconoscimento da parte del parlamento di Tobruk e sull'intero territorio vi è la presenza di diverse tribù e milizie che sfuggono a ogni controllo. Sullo scacchiere libico pesa soprattutto la forte influenza del generale Haftar che grazie al suo esercito e alle operazioni militari contro le milizie dell'Isis sta riscuotendo sempre più consensi da parte della comunità internazionale. L'Onu infatti sostituirà il proprio inviato in Libia, Martin Kobler, con l'ex premier palestinese Salman Fayad. L'accusa da parte del Consiglio di sicurezza Onu nei confronti del tedesco Kobler sarebbe l'eccessivo appiattimento su Sarraj e quindi la sostituzione servirebbe per riallacciare i rapporti con Haftar. Safar non parla di frequente con la stampa italiana e ha accettato un colloquio con Il Mattino soprattutto per chiarire i termini del protocollo siglato tra il governo italiano e la Libia che in questi giorni è stato respinto proprio dal parlamento di Tobruk.

Ambasciatore, perché il parlamento di Tobruk ha definito nullo l'accordo tra i nostri due Paesi?
«Il parlamento di Tobruk non ha tenuto una seduta specifica sul tema e quindi ha solo espresso un parere. I memorandum d'intesa, del resto, sono strumenti di politica estera adottati dai governi nazionali e quindi non hanno la struttura giuridica per essere approvati dai legislatori. Comunque a questo punto sarebbe meglio per tutti porre l'accento sul compito fondamentale di riunire la Libia proprio per rispondere più efficacemente alle sfide poste nel protocollo d'intesa invece che porre troppa enfasi sulle divisioni interne».
Ma quindi questo trattato non risolverà alcun problema? Le divisioni politiche renderanno impossibili gli obiettivi che si intendono raggiungere?
«Si tratta di un buon punto di partenza per rinforzare le relazioni bilaterali tra i nostri Paesi, è un protocollo che si basa su vincoli già esistenti firmato nel 2008 a Bengasi. Non sono previsti nuovi accordi, ma piuttosto vengono rafforzati quelli già esistenti. Politicamente questi sono tempi difficili per la Libia e ci sono ancora molti progressi da fare, l'intesa siglata con l'Italia non sottolinea soltanto l'urgente necessità per entrambe le sponde del Mediterraneo di affrontare i crescenti fenomeni dell'immigrazione clandestina e i traffici illeciti, ma rimarca anche il bisogno di promuovere il benessere economico e sociale indispensabile per raggiungere una reale stabilità politica».
Il memorandum riuscirà comunque a salvaguardare sia il controllo del flusso di migranti sia i più basilari diritti umani di questi disperati?
«Bisogna stare attenti con le parole, quello migratorio non è un fenomeno che può essere completamente bloccato perché è globale, nel caso andrebbe risolto alle radici intervenendo nei Paesi d'origine. Poi dobbiamo distinguere tra chi ha lo status di rifugiato e quei migranti che viaggiano per ragioni economiche. La via di transito della Libia viene utilizzata per lo più da questi ultimi che qui cercano di trovare i mezzi di sussistenza per continuare il loro viaggio verso Nord. Data la mancanza di infrastrutture, la Libia non può ospitare un numero così elevato di migranti e la sfida per soddisfare gli standard appropriati ci sarà sempre fino a quando non saranno risolti questi problemi alla radice».
Cosa può fare ancora la comunità internazionale per aiutare questo processo di unità?
«Più di ogni altra cosa la Libia ha bisogno di sostegno politico e tecnico. Lo sviluppo istituzionale è di fondamentale importanza, bisogna ripristinare condizioni di sicurezza, i servizi pubblici, in particolare di energia elettrica e l'assistenza sanitaria sono settori prioritari in questo momento. La Libia ha anche bisogno di una sorta di Fondo speciale per la stabilizzazione simile a quello deciso dal G8 per i Paesi della primavera araba».
La stampa internazionale scrive che Sarraj vive in un bunker della marina libica, come può il premier controllare il Paese in questo modo?
«Ovviamente queste, come altre, sono notizie da propaganda che non hanno credibilità. Sarraj conduce i suoi affari a Tripoli e in altre città libiche alla luce del sole e viaggia liberamente per incontrare persone. Il Consiglio di Presidenza opera dal palazzo di governo nel centro di Tripoli, pur mantenendo sedi operative in altre zone della città».
In una recente intervista al nostro giornale l'ormai ex delegato Onu per la Libia, Kobler, ha dichiarato che risulterà decisivo un accordo tra Sarraj, Haftar e l'ex premier Ghwell. Sarà possibile?
«Un accordo tra tutti gli attori politici sarà il miglior risultato di qualsiasi negoziato. Kobler sa per certo che la Libia è troppo grande per essere governata da singoli individui, piuttosto ha bisogno di un contratto collettivo tra tutte le forze».
Questa risposta sembra voler stigmatizzare il crescente consenso che riscuote il generale Haftar. Un segnale che il tempo di Sarraj è scaduto?
«Affatto. La battaglia contro l'Isis è stata una vittoria per tutti i libici, in particolare a Sirte. La speranza è che la lotta contro questo nemico comune possa unire tutti per creare un unico esercito. La speranza è ancora lì, ma ha bisogno di volontà politica da parte di tutti per farlo accadere».
Ha fatto bene l'Italia a riaprire la propria ambasciata a Tripoli?
«È stata la mossa giusta al momento giusto. Rafforza il ruolo di leadership che ha l'Italia nei confronti della comunità internazionale per raggiungere l'obiettivo della stabilità in Libia. Spero che molto presto verrà il momento per l'Italia di aprire anche un consolato a Bengasi, sarebbe una spinta ulteriore per far tornare alla normalità anche quella zona».
Il nostro ministro degli Esteri, Angelino Alfano, prevede un ruolo per Haftar nel futuro. Lei è d'accordo?
«Tutti i libici possono svolgere un ruolo attivo per il futuro della Libia, purché obbediscano alle regole del gioco. Una di queste è aderire all'accordo politico siglato dall'Onu. Noi vogliamo semplicemente un futuro per la Libia dove ci sia democrazia, stabilità e prosperità, ma non vogliamo vedere un ritorno della dittatura, dell'autocrazia e le brutalità dei regimi».
Per l'autobomba scoppiata a pochi metri dall'ambasciata italiana a Tripoli la vostra magistratura sospetta della mano di Haftar. È possibile?
«Mi spiace, ma di questo preferisco non parlare».
Come giudica la decisione del neopresidente Usa di revocare i visti d'ingresso per i cittadini libici?
«Gli Stati Uniti continueranno ad essere impegnati per la Libia nonostante il cambio di amministrazione, la Casa Bianca è sempre stata chiara nel sostenere l'accordo politico siglato dall'Onu. Mi aspetto che anche Trump continuerà questo intendimento. Il divieto di viaggio temporaneo ha colpito un'ampia comunità di studenti libici e professionisti che sono stati ospiti esemplari negli Stati Uniti. Speriamo che questo divieto sia riesaminato al più presto».