Lombardia, stretta sui centri islamici: "Sono come le moschee"

Viviana Beccalossi
Viviana Beccalossi
di Elisa Straini
Martedì 21 Febbraio 2017, 09:30 - Ultimo agg. 09:47
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La Regione fissa i paletti: i centri culturali islamici usati regolarmente per pregare sono di fatto moschee. E devono quindi rispettare le limitazioni della legge regionale sui luoghi di culto, la cosiddetta legge “anti moschee”. Questa la “ratio” alla base della circolare messa a punto dalla giunta Maroni, con la quale - ha spiegato ieri l’assessore all’Urbanistica Viviana Beccalossi - la Regione «vuole rispondere all’esigenza dei sindaci di avere più chiarezza nelle regole su quei centri culturali islamici che, a detta dei primi cittadini, sono di fatto delle moschee».

«Nessuno pensa che siano popolati da terroristi – ha precisato – ma è importante sapere dove sono e chi li frequenta». Le nuove disposizioni distinugono tra centri nati dopo la legge, che «se prevedono nel loro statuto finalità religiose o svolgono regolarmente funzioni di luoghi di preghiera, sono a tutti gli effetti da equipararsi alle moschee», e centri che già esistevano. Per questi la possibilità «di svolgere attività di culto è vincolata alla destinazione d’uso dell’edificio» e quindi «può essere concessa solo con una modifica del Pgt». «In pratica - ha detto l’assessore - i sindaci possono intervenire su quei centri culturali che, di fatto, usano capannoni, negozi e anche appartamenti per pregare».

Nei mesi scorsi la Regione aveva avviato anche la mappatura delle realtà presenti sul terriorio ed erano emersi 80 casi «da approfondire». Ma il provvedimento di ieri non piace all’opposizione. Per il M5S la Regione fa «solo propaganda», mentre Chiara Cremonesi (Sel) commenta: «Tutti i Paesi civili garantiscono ai cittadini spazi adeguati per l’esercizio del loro credo religioso. La Lombardia retriva della Lega e dei suoi alleati non sta purtroppo tra questi».
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