Mattarella nelle strade del dolore
«Sto qui, non vi lasceremo soli»

Mattarella nelle strade del dolore «Sto qui, non vi lasceremo soli»
di Francesco Romanetti-Inviato
Domenica 28 Agosto 2016, 09:41 - Ultimo agg. 14:52
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Amatrice. «E che te devo di’, figlio mio bello, io de coraggio nun me ne sento mica più tanto. Questo gli ho detto al presidente, che me pare pure ‘na brava persona. Però, vabbè, penso che ora voglio tornare alla casa mia. E speriamo che le cose s’aggiustano, magari per i figli nostri e per i nipoti nostri». Anno di nascita 1933, Pasqua Cursi (“ma tutti me chiamano Pasquetta, oppure Pasquina”) è una donnetta piccola piccola e secca secca, dallo sguardo mite. Vive in campagna da quando è nata. Casa sua è a Faizzone, una delle minuscole frazioni di Amatrice, ma da mercoledì scorso, dal giorno del terremoto che ha spaccato e devastato queste terre, Pasquina dorme nel Palazzetto dello Sport del paese invaso dalle macerie. Quando il Presidente Sergio Mattarella si rivolge a lei, davanti alla tendopoli della Protezione Civile, deve chinarsi per sussurrarle: “Coraggio, signora, si faccia coraggio, non vi lasceremo soli”.
Il capo dello Stato arriva ad Amatrice con l’elicottero presidenziale alle 8 e 30 precise del mattino, come da programma. Preceduto da una scossa di magnitudo 3.4 che fa tremare ancora una volta la terra alle 8 e venti. L’elicottero sorvola le vallate coperte di querce e pini, greggi di mucche e pecore, si abbassa fragoroso sul prato che fronteggia i maestosi Monte Gorzano, Cima Lepri e Pizzo di Sevo. Una visita intensa, quella di Mattarella (qui e poi alla tendopoli di Accumoli), che si svolge poche ore prima dei funerali, ad Ascoli Piceno, di 35 delle 294 vittime accertate. Momenti di tristezza, di dolore, di forte emozione. Ma una giornata, tutto sommato, in cui le istituzioni riescono a far sentire la loro presenza. «Non abbandonateci, non lasciateci soli», sono le parole che ricorrono quando Mattarella stringe mani di uomini e donne dagli occhi lucidi e quando accarezza i bambini delle tendopoli, che osservano incuriositi questa specie di nonno dalla chioma imbiancata. «Non avverrà, non sarete lasciati soli», può rispondere il Presidente della Repubblica, mentre la gigantesca macchina dei soccorsi è concentrata su un’area, per fortuna limitata, dell’Italia ferita. È lo stesso impegno che si prende Renzi, durante i funerali ad Ascoli ed è lo stesso impegno che ribadirà poi il presidente del Senato Pietro Grasso, seconda carica dello Stato, anche lui ad Amatrice nel pomeriggio. E che nel paese dove si sono sbriciolate anche una scuola elementare ristrutturata nel 2013 e dove ha ceduto un ospedale, vuole semmai aggiungere: «C’è una parte bella dell’Italia che è solidale, ma c’è anche una parte di speculatori. Allora al dolore si unisce la rabbia. Queste sono cose che non dovrebbero accadere. E si dovrà capire se qualcuno per caso ha adoperato più sabbia che cemento».

Mattarella incontra la popolazione accampata nelle tende tirate su dalla Protezione Civile, stringe le mani dei soccorritori, visita una parte del paese distrutto. Passa davanti al grande display luminoso, proprio di fronte ad una delle prime palazzine crollate, che evidentemente nessuno ha badato a disattivare e che annuncia per il 27 agosto: “trio di chitarre e spaghetti all’amatriciana”. Lo accompagnano il sindaco Sergio Pirozzi; il presidente della Regione Lazio, Zingaretti; il capo della Protezione Civile, Curcio; il vescovo di Rieti, Domenico Pompili. Il Presidente si ferma nella piazza dove si innalza la bellissima chiesa di Sant’Agostino, dal portale gotico, oggi in parte crollato e con il tetto sfondato. Da qui comincia la “zona rossa”, il corso Umberto I, il centro storico ridotto ad un cumulo di antiche pietre, mattoni, tegole e travi di cemento che poggiavano su case fatte di sassi. Qui, dove ormai si estraggono solo cadaveri, sono morte la maggior parte delle quasi duecentocinquanta vittime di Amatrice.
«Grazie, grazie per il vostro impegno e per il lavoro che state facendo», dice Sergio Mattarella a giovani volontari della Croce Rossa dai capelli impolverati, a Vigili del Fuoco esausti, a uomini e donne della Protezione civile, a carabinieri, polizia, guardia di finanza, forestale. «Presidente, era il nostro dovere», gli risponde qualcuno. A Giovanni Salzano, qui dalla mattina di mercoledì con altri 60 Vigili del Fuoco di Napoli, mette una mano sulla spalla e dice: «Bravi ragazzi, buon lavoro, complimenti».
Il 27 agosto, ad Amatrice, non c’è stato il trio di chitarre. Neanche la spaghettata in occasione della cinquantesima edizione della Sagra dell’Amatriciana. Nelle strade impolverate passano le auto delle pompe funebri, si muovono i grossi mezzi che trasportano le celle frigorifere per conservare gli altri corpi. Sotto le tende fa caldo di giorno e freddo di notte (l’escursione termica è di 20 gradi). Il 27 agosto è il giorno che si seppelliscono i morti, ma quel «non abbandonateci» vuol dire anche pensare alla ricostruzione, alla rinascita di una comunità decimata dalla catastrofe. «Che fine farà, Presidente, la nostra Amatrice? Esisterà ancora?», chiede con le lacrime agli occhi una donna in pantofole. Un uomo scuote la testa: «Presidente, non vogliamo essere dei terremotati per chissà quanto altro tempo». Sergio Mattarella promette: «Non sarete soli. Questi luoghi non saranno abbandonati, questi paesi saranno ricostruiti». 

Mentre l’elicottero presidenziale si solleva, nella “zona rossa” continua il frastuono ostinato delle ruspe. Le squadre di vigili del fuoco sudati e impolverati, si danno il cambio sotto il sole che brucia e che risplende indifferente. Da due giorni i cani addestrati per la ricerca di chi è stato risucchiato dai crolli, fiutano solo corpi senza vita. E le sirene delle ambulanze ululano soltanto lungo la strada che conduce all’obitorio.
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